C O N V E G N O I N T E R N A Z I O N A L E
"Il Paesaggio: la forma della cultura"
Asti - 22 e 23 maggio 2004 - Teatro Alfieri
Tavola rotonda - Prima giornata dei lavori del convegno
Prof. Giancarlo Durando
(Docente Istituto Professionale di Stato per l'Agricoltura e l'Ambiente "Vincenzo Luparia" di San Martino di Rosignano)
Relazione su: L'olivo nella caratterizzazione dei paesaggi monferrini.Recenti esperienze
L’Istituto Professionale di Stato per l’Agricoltura e l’Ambiente Vincenzo Luparia di San Martino di Rosignano ha attivato, nell’autunno 2000, un progetto denominato “Ulivi in Monferrato”.
All’epoca la olivicoltura piemontese registrava una consistenza non superiore alle 1.500- 2.000 piante, la maggior parte delle quali in coltura promiscua.
Le finalità del progetto, che inizialmente era portato avanti dagli studenti di una classe quarta che aderiva al concorso europeo “IG students”, sono quelle di favorire la ridiffusione della coltivazione dell’ulivo nel Monferrato.
I presupposti su cui si basa il progetto sono di carattere:
a) climatico
•L’ultima miniglaciazione è terminata intorno al 1860.
• Sette tra i dieci anni più caldi degli ultimi 120 anni appartengono all’ultimo decennio (al primo posto il 2003). Tale fase climatica non è determinata solo dall’effetto serra, in quanto si è già verificata intorno al XII-XIII secolo, periodo in cui gli ulivi erano coltivati sulle pendici collinari meglio esposte delle Langhe e del Monferrato.
b) agronomico
• In seguito alle ultime forti gelate del 1985 si è data sempre maggiore importanza alla selezione di varietà resistenti al freddo, per una loro diffusione nelle aree olivicole italiane più fredde del nord (Brisighella, Colli Berici) e del centro Italia (Monte Amiata, ecc.)
c) paesaggistico
• L’ulivo può costituire un elemento di arricchimento del paesaggio
• La pianta di ulivo è adatta al recupero dei versanti più soleggiati di aree abbandonate o degradate
d) storico
• I primi insediamenti in Monferrato sono stati effettuati da popolazioni Liguri; tracce della loro presenza permangono infatti sia nella toponomastica che nella terminologia relativa a strumenti di lavoro. Durante la loro permanenza in Monferrato i liguri diventarono abili viticoltori, e si suppone che proprio a loro si debba anche la diffusione della coltivazione dell’olivo. La coltivazione arborea prevalente del Monferrato, a quei tempi, era la vite, ma non bisogna trascurare l’importanza che vennero ad assumere altri fruttiferi, come fico, melo, pero, pesco, ciliegio e susino, e soprattutto le coltivazioni di mandorle, nocciole, castagne e noci. Queste ultime, in particolare svolgevano un ruolo fondamentale in quanto erano in grado di fornire ottimi frutti ed un olio di qualità inferiore solo a quello d’oliva.
La coltivazione dell’olivo si diffuse sempre di più nel Monferrato e nei territori limitrofi, fino a raggiungere la sua massima diffusione nella seconda metà del Duecento, allorché molti statuti prevedevano l’obbligo della piantagione di olivi nella fascia pedemontana che va dalla Langa al Monferrato, fino ad arrivare, verso nord, ad aree con microclimi compatibili al loro sviluppo. Gli olivi erano coltivati per lo più in associazione con i mandorli, tra le colture arboree, e con lo zafferano, tra quelle erbacee, in quanto simili dal punto di vista delle esigenze pedoclimatiche. Ad Asti era attivo un mercato dello zafferano, che vendeva i suoi prodotti anche alla vicina Francia.
Nel secolo XIII il paesaggio naturale del Monferrato andò lentamente trasformandosi: i versanti meridionali furono ampiamente terrazzati cosicchè anche i terreni più acclivi furono interessati dalla coltivazione della vite e dell’olivo.
All’inizio del XIV secolo si verificò uno straordinario abbassamento termico in tutta l’Europa, in seguito al quale le coltivazioni con le maggiori esigenze termiche ebbero la peggio, e dovettero subire da allora continui rinnovi.
Ulivo e vite rimasero in concorrenza fino alla fine del ‘700, allorchè in conseguenza di inverni rigidissimi le piante di ulivo morirono e la vite, il cui prodotto trovava ampi sbocchi commerciali, prese definitivamente il sopravvento.
Tali condizioni climatiche continuarono all’incirca fino all’Unità d’Italia; intorno al 1860 terminò infatti l’ultima miniglaciazione, ma l’olivo non venne più rinnovato come coltura da olio e da reddito e la sua presenza si fece sempre più sporadica, limitandosi ai luoghi più riparati e solatii..
Sono rimasti in molte aree del Monferrato toponimi che fanno riferimento all’olivo: Olivola, San Marzano Oliveto con il monte Uliveto, un altro monte Uliveto a Ponzano di Crea, la strada degli ulivi tra Grazzano Badoglio e Patro di Moncalvo, la contrada Olivetta a Conzano ed altre ancora.
Ma sono rimasti anche alcuni testimoni della nostra storia olivicola, rappresentati da vecchissimi alberi di ulivo di età spesso pluricentenaria.
Queste piante, ricercate e individuate dai docenti dell’Istituto Agrario “Luparia”, sono attualmente oggetto di studio e possono rappresentare una importante fonte di biodiversità olivicola.
Piante storiche sono state individuate un po’ in tutto il Piemonte, ed in particolare:
- a Pino d’Asti e San Marzano Oliveto (Provincia di Asti)
- a Pinerolo, Masino e Settimo Vittone (Provincia di Torino)
- a Serralunga d’Alba (Provincia di Cuneo)
- a Odalengo Piccolo, Murisengo, Rosignano, San Giorgio, Vignale, Ozzano e Lu Monferrato (Provincia di Alessandria)
Il progetto di recupero del germoplasma locale, portato avanti da alcuni docenti del “Luparia” in collaborazione con il CNR-IVALSA di Sesto Fiorentino, risulta innovativo e strategico per il recupero della coltivazione dell’olivo in Piemonte. Negli ultimi anni, infatti, è andata aumentando la necessità di conservare la biodiversità e recuperare “vecchie varietà”, un tempo diffuse nel territorio, perchè da esse si possono ritrovare le radici della tipicità dei prodotti agro-alimentari che, come è noto, derivano dall’interazione cultivar-tradizione-territorio.
Un progetto analogo è stato la base per il rilancio di altri piccoli comprensori olivicoli, come quello di Brisighella, in Emilia Romagna, e del Monte Amiata, in Toscana, dove in conseguenza della affermazione dell’olivo si sono avute positive ripercussioni sul turismo gastronomico e sull’economia in generale.
Il progetto rappresenta un moderno strumento tecnico per orientare la ristrutturazione e lo sviluppo dell'olivicoltura piemontese, e in particolare di quella del Monferrato, ponendo le basi strutturali ed operative per la realizzazione di una filiera olivicola.
Le finalità non sono solo quelle di recupero della biodiversità olivicola autoctona, ma anche la promozione e la diffusione delle cultivar che, da un punto di vista agronomico, sono più idonee alla qualificazione della produzione olivicola e all’ottenimento di un olio di qualità. Il patrimonio varietale individuato verrà infatti messo a disposizione degli imprenditori che da qualche anno stanno reimpiantando gli ulivi in Monferrato, per garantire in la realizzazione di impianti moderni, funzionali per le produzioni e razionali per gli interventi agronomici.
Il progetto di ricerca è stato strutturato in tre sottoprogetti, con i seguenti obiettivi:
1. Definire la struttura olivicola ed individuare la biodiversità presente sul territorio.
Tale fase, in corso di completamento, ha permesso di individuare al momento circa 20 piante di interesse storico.
2. Descrivere i caratteri morfologici delle piante indicate come germoplasma olivicolo autoctono e realizzare un campo collezione di piante madri.
Ogni pianta storica verrà studiata dal punto di vista morfologico seguendo la metodologia già utilizzata per il germoplasma autoctono toscano: oltre alle caratteristiche generali della pianta (vigoria, portamento, sviluppo), saranno esaminati trenta caratteri morfologici che illustrano la conformazione delle foglie, dei frutti e dell'endocarpo.
Le informazioni agronomiche saranno completate da rilievi inerenti la biologia fiorale (epoca di fioritura, fertilità e compatibilità dei fiori), l’entità di fruttificazione e la dinamica di maturazione dei frutti.
Da ogni pianta storica sono state prelevate recentemente delle marze, che sono state innestate su selvatico. Completata la crescita del materiale ottenuto si procederà, tra l’autunno 2005 e la primavera 2006, alla realizzazione, presso la azienda agraria dell’Istituto “Luparia”, di un campo collezione costituito da almeno tre piante per ogni cultivar.
Il campo collezione servirà per la salvaguardia in "vivo" del materiale vegetale e per garantire la sua integrità genetica.
Tutte le piante saranno infatti tenute sotto continua osservazione per:
- controllare la rispondenza genetica delle entità catalogate;
- verificare eventuali discordanze tra i caratteri morfologici segnalati;
- completare ed ampliare il quadro delle informazioni;
- definire la risposta agronomica (vegetativa e produttiva) delle cultivar identificate messe a confronto nelle stesse condizioni pedo-climatiche.
La creazione del campo collezione garantisce più facili ed efficaci ispezioni da parte degli organi di controllo nonchè la salvaguardia delle piante madri per una futura certificazione e il prelievo di materiale da impiegare nella propagazione.
Le piante madri, poste a sesti 4m x 6m e condotte con criteri moderni di coltivazione, saranno continuamente sottoposte a controllo fitosanitario.
3. Valorizzare, attraverso analisi chimiche ed organolettiche, l’olio monovarietale che si ottiene dalle piante selezionate.
Per raggiungere questo ultimo obiettivo è previsto l’acquisto di un frantoio, che sarà possibile grazie al finanziamento della Fondazione Cassa di Risparmio di Asti e della Provincia di Alessandria.
Questo frantoio verrà messo in funzione a San Martino di Rosignano per l’autunno 2004, e permetterà la produzione di olio da ogni pianta storica.
Ogni campione di olio verrà sottoposto a test chimici ed organolettici, per verificarne la qualità.
Il ritorno di un frantoio in Piemonte è un evento di assoluto interesse, in quanto risale al 1911 l’ultima testimonianza di una nostra produzione oleicola. L’ultimo impianto di ulivi rimasto in produzione nel Monferrato fu quello del conte Candiani di Olivola, in quel di Olivola Monferrato (AL), che venne spiantato nel 1919.
Dal 2001 riprende proprio da Olivola la produzione di olio d’oliva, con 13 litri di extravergine di ottima qualità ottenuto da un frantoio tradizionale di Villanova d’Albenga.
Nel 2002 gli oli extravergine piemontesi salgono a 5; nel 2003 vengono ottenuti, sempre da moliture effettuate in Liguria, 7 oli piemontesi e uno della Valle d’Aosta, le cui caratteristiche chimiche sono riassunte nella successiva tabella.
Esami Olio di Oliva 2003
|
Esame chimico |
Esame spettrofotometrico |
|||
|
Acidità % |
Perossidi |
K232 |
K268 |
DK |
Valori di riferimento |
< 0,80 |
< 20 |
< 2,40 |
< 0,2 |
< 0,01 |
Veglio Piero - Patro di Moncalvo (AT) |
0,19 |
12,7 |
1,598 |
0,1919 |
-0,001 |
Grosso Giovanni |
0,30 |
17,9 |
2,252 |
0,1914 |
-0,005 |
Giovanetto Adriano – Settimo Vittone (TO) |
0,56 |
12 |
2,195 |
0,1903 |
-0,009 |
Martinelli Dario – Donnaz (V. d’Aosta) |
0,30 |
10,9 |
1,635 |
0,1638 |
-0,056 |
Molino Lingarda – Settimo Vittone (TO) |
0,57 |
8,8 |
1,860 |
0,1963 |
-0,002 |
Comune di Vialfrè (TO) |
0,29 |
13,3 |
1,841 |
0,1946 |
-0,001 |
Macchio Spineto |
0,37 |
15,6 |
2,040 |
0,1901 |
-0,022 |
Odalengo Piccolo (piante storiche) |
0,20 |
14,6 |
1,890 |
0,160 |
-0,0055 |
Olivola Monferrato |
0,32 |
14,8 |
2,100 |
0,230 |
-0.0050 |
|
|
|
|
|
|
I dati riassunti in tabella confermano la elevata qualità degli oli del Piemonte. Recenti studi effettuati dall’Università di Pavia sono riusciti a caratterizzare, rispetto a quelli delle altre regioni italiane, gli oli delle aree fredde del nord Italia, più ricchi di antiossidanti e perciò maggiormente in grado di annullare l’effetto negativo dei radicali liberi.
A distanza di 4 anni dall’avvio del progetto di ridiffusione dell’ulivo in Piemonte si sono ottenuti i seguenti risultati.
• Al momento attuale (primavera 2004) sono presenti in Piemonte circa 30.000 piante di ulivo, su una superficie di circa 100 ettari.
• Il 70% circa degli impianti ha meno di due anni:
- circa 9.000 ulivi sono stati messi a dimora nel 2003;
- circa 12.000 ulivi sono stati messi a dimora nel 2004.
Un fenomeno di tale portata non può essere ignorato da chi si occupa di pianificazione territoriale. La reintroduzione della olivicoltura nelle nostre colline può essere una buona opportunità per il recupero di appezzamenti collinari attualmente abbandonati, e la presenza dell’olivo potrebbe nei prossimi anni venire a costituire un elemento integrante del nostro paesaggio agrario.
PRESENTAZIONE IN POWER POINT
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