Osservazioni sulle Linee Guida

       Rispetto alla definizione delle linee Guida della Provincia di Asti per la localizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da biomasse, i Comitati locali evidenziano la necessità di uno sviluppo territoriale e ambientale sostenibile. Le centrali a biomasse non si confanno alla necessità e alla disponibilità del territorio e rappresentano una risorsa solo per le aziende che le costruiscono, grazie ai benefici economici derivanti dai certificati verdi. Nel seguito del documento illustreremo meglio la nostra posizione.

Presentazione del documento sulle Linee guida per la gestione della localizzazione degli impianti di combustione delle biomasse da parte dell’ing. Massimiliano Bosco (curatore scientifico nella fase di stesura del documento)

Presentazione del documento sulle Linee guida per la gestione della localizzazione degli impianti di combustione delle biomasse da parte dell’ing. Massimiliano Bosco (curatore scientifico nella fase di stesura del documento)

E’ vitale una gestione sostenibile delle biomasse

    Le normative europea e italiana contemplano solamente gli scarti di lavorazione provenienti da agricoltura e silvicoltura ex art. 2  lettera b) direttiva 2001/77/CE e art. 2 comma 1 lettera a) D.L. 387/03. La Regione nelle sue linee di indirizzo, BUR n. 11 del 18/3/2004, parla di incentivazione delle coltivazioni dedicate aggiungendo però che il bilancio ambientale deve essere positivo. Noi aggiungiamo anche che vanno valutati gli effetti distorsivi sui prodotti agricoli di punta, tipo viti, noccioli, ecc. Lo stesso BUR parla di “studi attenti e veritieri” sulla disponibilità di biomassa, intendendo dire che questo tipo di impianti può essere giustificato unicamente nei pressi delle attività produttive che generano scarti di lavorazione compatibili con la definizione di biomassa. Ad esempio si possono citare l’impianto di Crova (VC) che brucia gli scarti di lavorazione dell’industria risiera, risolvendo un problema di smaltimento e riutilizzando le ceneri di risulta in modo che nulla vada sprecato e l’impatto ambientale sia calcolato complessivamente e non in riferimento ad una sola fase del processo.

    Passando al legno, occorre sempre distinguere tra biomassa autentica e rifiuto, in quanto un piccolo cambiamento nell’alimentazione dell’impianto cambia completamente la normativa applicabile: ad esempio rientrano tra le biomasse gli scarti di lavorazione meccanica del legno, come può essere la potatura dei rami. Se invece a puro titolo di esempio si preleva la corteccia, la si sminuzza e la si chiude in autoclave per estrarre tannino a mezzo dell’acqua calda, il tipo di lavorazione non è più meccanico e quindi il residuo del legno, che risulta da un processo industriale, non è più una biomassa. A questo punto interviene il CER (Catalogo Europeo dei Rifiuti) che assegna un codice ad ogni materiale classificato come rifiuto (p.es . 03 03 01 scarti di corteccia e legno). Se il materiale di scarto ha collocazione nel CER e lo si vuole bruciare, si è soggetti alla normativa su incenerimento e co-incenerimento, che però esclude i rifiuti di legno (Art. 3, c.1, D.Lgs. 133/2005). Dunque ci si ritrova nuovamente nell’applicazione del decreto sui combustibili: esso fissa delle norme tecniche e l’autorità competente dovrà accertare che siano rispettate, sia in fase di rilascio dell’autorizzazione unica, sia in seguito mediante i controlli periodici di legge. Se però il materiale viene trattato chimicamente, il quadro è diverso, in quanto non si applicano le eccezioni del medesimo decreto.

    Quanto sopra dovrebbe far riflettere sulla convenienza energetica ed economica delle biomasse, che è significativa soltanto dove esiste il residuo di una lavorazione già presente, mentre è quantomeno dubbia laddove la filiera debba essere creata ad hoc, per es. con le colture dedicate o le foreste a rotazione rapida (SRF). A tal fine si può citare il lavoro dell’Istituto Sperimentale per la Meccanizzazione Agricola di Monterotondo – RM, che ha calcolato un conto profitti e perdite in attivo solo per effetto delle sovvenzioni regionali e non per tutte le regioni.

    Infatti produrre energia elettrica da biomasse è antieconomico, visto il basso rendimento del procedimento, dovuto principalmente al basso potere calorifico del combustibile e alla prevalenza di cicli termodinamici compatibili con la complessità dei piccoli impianti (p.es ciclo Rankine). Il legname bruciato invece, soprattutto se è legno vergine come pubblicizzato dai costruttori degli impianti, è una vera risorsa dal punto di vista ambientale e paesaggistico, risorsa che già ora viene ampiamente sfruttata. I dati dell’IPLA, per fornire un esempio, dicono che un’area del raggio di 20 Km intorno a Canelli può alimentare come disponibilità di legname una centrale da 7.2 MWt. Questa disponibilità è solo teorica, perché negli ultimi anni con il caro petrolio i boschi sono molto sfruttati e impoveriti a causa della siccità: sulla cima delle colline si vedono molte robinie secche, soprattutto dove il terreno è più sabbioso e permeabile. Ci chiediamo, in mancanza di biomasse legnose che cosa si brucerà in questi impianti.

    Nelle Linee Guida la Provincia si richiede che il 70% dell biomassa legnosa provenga dal bacino ottimale,cioè dalla Comunità Collinare o Montana interessata, ma lascia la maglia larga del 30% che estende il raggio a 50 Km. dall’impianto. Il trasporto del legname contribuirà peggiorare il bilancio ambientale nonchè energetico e il rischio che ciò avvenga è rilevante in quanto è già realtà in Italia il fatto che “Ci troviamo pertanto impianti da 10 o 20 megawatt elettrici costretti, … a importare biomassa dal Brasile e dall’Argentina sprecando tutto il calore, con la conseguenza che i certificati verdi, invece di beneficiare i produttori di biomassa o gli utilizzatori del calore in ambito locale, vengono esportati.” (Dal resoconto stenografico - Senato della Repubblica – 16 – XV Legislatura 9ª Commissione, 14º Res. Sten., 9 maggio 2007, pag. 17).

Governare la sovrapposizione dei concetti di biomassa e di rifiuto

     Aggiungiamo che la possibilità dopo soli cinque anni di modificare e/o integrare la fonte energetica utilizzata rappresenta una grossa incongruenza e apre facilmente le porte all’incenerimento dei rifiuti e/o di combustibili derivati. Questi impianti solo in Italia usufruiscono di finanziamenti pubblici (in contrasto con le direttive europee che non li riconoscono come fonti di energia rinnovabili, in quanto solo la normativa italiana li ha definiti tali ex. Art 17 D.Lgs. 387/2003): dare loro la possibilità dopo cinque anni di utilizzare altri combustibili, che facilmente saranno rifiuti, è un danno e una beffa nei confronti dei cittadini che pagano con la bolletta ENEL i finanziamenti. L’incenerimento dei rifiuti ha costi d’esercizio tripli e costi di impianto anche dieci volte superiori rispetto ai metodi a freddo uniti ad una gestione integrata che comprenda la raccolta differenziata e porta a porta. E’ evidente che se l’inceneritore appartiene ad una società privata avrà tutto l’interesse a bruciare più rifiuti possibile, in quanto il fatturato deriverà principalmente dalla quantità di materiale trattato. In sintesi, più inquina, più guadagna.

     E’ altrettanto evidente che se si vuole rendere la gestione dei rifiuti un’opportunità economica, si può analogamente considerare l’impatto benefico che avrebbe la nascita di imprese (tipicamente piccole e medie) specializzate nei trattamenti a basso impatto ambientale, nella costruzione di macchine e nell’impiantistica relativa, settore che in Piemonte è tuttora poco sviluppato e quindi non privo di potenziale. Ad esempio il biogas sviluppato dai trattamenti biologici a freddo dei liquami e dei rifiuti è ammesso al beneficio dei certificati verdi e permetterebbe di creare degli impianti con investimenti di molto inferiori rispetto all’incenerimento e quindi alla portata di soggetti di dimensioni medio piccole.

    Un esempio significativo in tal senso è il recupero di biogas dagli impianti di compostaggio dei rifiuti e fermentazione a bassa temperatura, ivi compresi i fanghi zootecnici, fanghi di depurazione urbana, scarti di industrie alimentari e scarti ortofrutticoli, ove viene prodotto del metano che se non recuperato si disperderebbe comunque nell’ambiente.

    L’Amministrazione che volesse attuare quanto previsto dalla normativa ha gli strumenti per imporre come minimo la valutazione delle metodiche di trattamento alternative (p.es. TMB) e la tutela della qualità dell’aria, imponendo una pianificazione attenta degli impianti di incenerimento. Si è sentito dire in più occasioni che i trattamenti biologici a freddo producono cattivo odore, ma ciò non è completamente esatto, in quanto in Italia si tende a confondere i diversi TMB col compostaggio: in realtà un impianto TMB ben realizzato deve essere stagno per consentire un recupero efficiente del biogas, che altrimenti andrebbe perso. Se si prevede il recupero, l’impianto deve lavorare in leggera depressione mediante degli aspiratori, per cui non si può rilasciare il cattivo odore in atmosfera.

La fase istruttoria ex. Art.12 è uno strumento di tutela della salute

    A tal fine si ricorda a puro titolo di esempio il fatto che le autorità hanno il diritto/dovere di “esercitare (…) in modo corretto sul piano motivazionale e delle garanzie procedimentali, il suo potere di valutazione tecnico-discrezionale ai fini dell’inquadramento dell’attività svolta (…) in termini di smaltimento o recupero di rifiuti (incenerimento/coincenerimento)”  (sentenza n. 486 TAR Piemonte Sez. II, 6 febbraio 2007). Nello stesso procedimento hanno un peso gli aspetti sanitari, in quanto si dice che “Dal punto di vista sanitario, i dati (…) inerenti all’elevato SMR (rapporto standardizzato di mortalità) per la causa di morte “malattie dell’apparato respiratorio” (…) risultano consolidati da fonti successive, che confermano (…) un eccesso di mortalità per le patologie prima citate significativo, rispetto al quadro regionale, pur non indicando uno specifico nesso causale o di correlazione con la situazione ambientale. Data la situazione descritta, può ritenersi utile, a livello precauzionale, ogni provvedimento amministrativo che sia inteso a preservare l’ambiente cittadino da un incremento di emissioni atmosferiche, laddove sia eventualmente possibile trasferirne l’impatto in aree delocalizzate”.

Sono vitali le attività di controllo e monitoraggio delle emissioni

    A proposito di aria alleghiamo una mappa satellitare da cui si rileva la concentrazione del biossido di azoto relativo all’Europa. Risulta bene evidenziata la situazione dell’inquinamento di NO2 presente in tutta la Pianura Padana, provincia di Asti compresa (vedi ARPA). Le immagini prodotte dal satellite Envisat, l’incrocio coi dati ARPA e i rapporti degli enti meteorologici più accreditati (es. SMI) indicano nella pianura Padana il quarto luogo più inquinato al mondo a causa della scarsa circolazione d’aria. Ciò significa che Milano, sebbene abbia emissioni confrontabili con quelle di Amburgo, provoca un danno dieci volte superiore perché siamo circondati da montagne e il vento non può “spazzare” via gli inquinanti. Ciò dovrebbe bastare per invitare gli enti locali a vigilare attentamente sulle conseguenze delle linee di indirizzo e sulla regolamentazione dello sviluppo industriale.

     Da rilevamenti effettuati dall’ESA (Ente Spaziale Europeo) si è visto che almeno nelle regioni temperate, le foreste giovani emettono più biossido di carbonio di quanto ne assorbono, per cui non funzionano da “polmoni verdi”. Solo dopo almeno dieci anni di vita raggiungono un equilibrio tra emissione e assorbimento, quindi il bilancio energetico non è assolutamente in pareggio (bilancio positivo tra CO2 assorbita e poi rilasciata in fase di combustione – vedi ARPA). La Pianura  Padana ha bisogno di un piano di risanamento dell’aria, con finanziamenti che agevolino l’utilizzo di fonti energetiche pulite, solare termico e fotovoltaico. I certificati verdi, come proposto dalla Coldiretti, andrebbero assegnati a chi mantiene intatti e gestisce i boschi anziché a chi li brucia. La tutela dell’ambiente non è più un discorso d’elite,ma una necessità chiara a molti.

     E’ vero che la Provincia agisce solo a livello locale, ma in questo ambito sono possibili scelte forti, lungimiranti che diano più valore al territorio e alla salute che ad un profitto economico rapace, miope sfruttatore delle risorse di tutti. La nostra provincia si è candidata al riconoscimento dell’UNESCO come patrimonio dell’umanità con il suo paesaggio vitivinicolo e boschivo: sarebbe già molto se ci rendessimo conto noi stessi di quello che chiediamo al di là di un eventuale riconoscimento che potremmo ottenere.

Formazione e informazione apportano valore aggiunto

     Abbiamo bisogno di una seria educazione al rispetto dell’ambiente e alla raccolta differenziata. Utilissimi potranno essere degli incontri di formazione già previsti dalla Provincia per gli Amministratori Pubblici, nonché per la popolazione, volti a creare una maggior consapevolezza sui possibili danni al territorio e alla salute, oltre che una maggior cultura e sensibilità ambientale. L’obbiettivo è focalizzare l’attenzione sulle fonti rinnovabili autentiche, come il biogas prodotto da processi a bassa temperatura, a spese di fonti che pur classificate rinnovabili dalla legge, ad un’analisi più scientifica non appaiono tali, come il CDR-Q che può contenere componenti derivati da petrolio o prodotti col medesimo, o come la biomassa legnosa da coltivazione dedicata che ha tempi di rinnovo talmente lunghi da risultare al limite di tale definizione. Anche per i piccoli impianti delle aziende agricole che utilizzino combustibile proprio, di un massimo di 1MWt, chiediamo corsi di formazione professionale per chi gestisce detti sistemi, affinché siano chiare le conseguenze dovute all’utilizzo di combustibile inadeguato, nonché il potenziamento dei meccanismi di controllo, in quanto è evidente che sorvegliare numerosi piccoli impianti è molto più complesso che controllarne uno grande.

     Chiediamo alla Provincia di rappresentare questa nuova sensibilità e non limitarsi a porre degli argini a processi speculativi. Perché la Provincia di  Asti, come ci è stato detto alla presentazione delle Linee Guida, ha richieste superiori alla propria disponibilità di superficie boschiva? (26 impianti previsti per la regione di cui 12 nell’astigiano?)

     In questa situazione chiediamo alla Provincia di Asti di inserire nei criteri di accettazione delle domande di autorizzazione l’obbligo di confronto con le tecnologie alternative all’incenerimento e alla combustione, già presenti sul mercato, e dell’integrazione in un piano energetico provinciale che unisca la pianificazione della domanda e dell’offerta di energia con un piano di gestione integrata dei rifiuti, in funzione di un impatto ambientale minimo e calcolato tenendo conto di entrambe le problematiche e non solo dell’incentivo alle biomasse.

Il risparmio è una fonte energetica immediatamente disponibile

     Ci permettiamo un ultimo suggerimento, collaterale al problema delle biomasse, ma essenziale nell’ottica di gestione globale che sosteniamo: la provincia di Bolzano, di comune accordo con tutti gli enti locali, ha istituito un servizio di informazione tra i più efficienti in Italia sulla certificazione energetica degli edifici, in quanto ha scoperto che più di un terzo del fabbisogno energetico è imputabile all’edilizia ed è possibile abbassare i consumi annui da 15 a 5 litri/anno/metro quadro di gasolio per il solo riscaldamento. Soluzioni analoghe sono possibili per ridurre i consumi elettrici e per rendere autosufficienti gli edifici. In questa prospettiva, solo procedendo all’eliminazione degli sprechi enormi (che ricordiamo, sono i più alti d’Europa) dovuti alla carenza di progettazione dei nostri edifici, il problema dell’aumento di produzione di energia diventerebbe rapidamente obsoleto.

Conclusioni

    Per quanto riguarda le osservazioni formali accogliamo con favore il lavoro svolto da Lega Ambiente. Dal ns. punto di vista insistiamo in modo particolare sui punti seguenti:

1. la proposta di istituire un piano energetico provinciale, in modo da programmare l'attivazione di nuovi impianti a fronte di una domanda accertata o, quantomeno, stimata sulla base di un modello previsionale convalidato scientificamente. Il piano dovrebbe essere onnicomprensivo e non limitarsi alla sola energia da biomasse, includendo studi accurati in tutti i principali campi di impiego dell'energia, ad esempio edifici, industria e trasporti, sul modello di quanto  realizzato da altre province (p.es. Verbano Cusio Ossola);

2. la proposta di implementare una rete di centraline per il  monitoraggio continuo degli inquinanti, finanziata da una pluralità di soggetti per rendere accettabili i costi,  partecipata e controllata da un soggetto pubblico (o da più soggetti) con regole in grado di garantire un'imparzialità assoluta. I dati raccolti sarebbero preziosi nella  pianificazione delle autorizzazioni, utili ai fini della ricerca e, naturalmente, come mezzo per prevenire e rilevare eventuali abusi nell'esercizio degli impianti. Se coadiuvato da un'adeguata infrastruttura telematica, ricavata anche appoggiandosi a siti web, il sistema rappresenterebbe il più efficace ed economico strumento di trasparenza in materia di informazione ambientale ex. D.lgs. 195/2005;

3. la proposta di disincentivare la produzione di energia attraverso la combustione per i noti problemi derivanti dal particolato finissimo e dalle particelle submicroniche (nanoparticelle), che non possono essere trattenute dai sistemi di filtrazione attuali, nemmeno allo stato dell'arte, né purtroppo sono regolamentate a sufficienza dalla normativa vigente.

4. la proposta di abbassare i limiti dimensionali delle centrali a biomasse, a favore della microgenerazione sul posto, che condividiamo pienamente, fatte salve le garanzie  sulle emissioni e sull'impiego corretto del combustibile;

5. la proposta di non commutabilità della fonte, idealmente in grado di operare anche in caso di fusione societaria, trasformazione o passaggi di proprietà, in modo da evitare la costruzione di un impianto inizialmente a biomasse e successivamente ceduto a nuovi soggetti che potrebbero richiedere l'autorizzazione per altre soluzioni ad impatto ambientale più elevato. Questo per fare in modo che ogni cambio di destinazione d’uso sia comunque governato in base ad una Valutazione Ambientale Strategica in grado di controllare il risultato globale di ogni scelta;

6. la proposta di applicare norme che evitino utilizzi strumentali delle linee guida, finalizzati alla classificazione di impianti di incenerimento e coincenerimento in forme diverse, rischiando di perdere di vista la pericolosità reale ed accertata della combustione del rifiuto;

7. la proposta di dare concreta applicazione al diritto di informazione in materia ambientale e di garantire la consultazione ai soggetti interessati, anche ricorrendo a  mezzi telematici.

Contributi:

- Dott. Ing. Massimiliano Bosco (Libero professionista (iscritto all’ Albo Ingegneri di Torino, sez. A, al n. 10051 J) – progettista reti e sistemi di controllo e monitoraggio di processo, impiantistica industriale e navale – m.bosco.studio@gmail.com)

Adesione al presente documento:

- Prof. Erildo Ferro (Delegato dall'Osservatorio del Paesaggio per il Monferrato e l'Astigiano per la valutazione della problematica della localizzazione degli impianti di combustione a biomasse nel territorio astigiano)

Prof. Erildo Ferro (Osservatorio del Paesaggio per il Monferrato e l'Astigiano)

Prof. Erildo Ferro (Osservatorio del Paesaggio per il Monferrato e l'Astigiano)