LA GESTIONE DEL PAESAGGIO IN FRANCIA

Prof. Ottavio Coffano

 Veduta di un ordinato paesaggio agrario francese

Veduta di un ordinato paesaggio agrario francese

         Se vi capiterà di percorrere in auto i 1200 chilometri che separano Asti da Le Havre, potrete riflettere su alcuni fatti rilevanti mentre vasti e morbidi paesaggi vi affiancano confortando il viaggio. Superato il confine italiano, fino alla Manica, (tranne che le periferie delle grandi città come Lione, Parigi, Rouen ecc.) vi verranno incontro a lato dell’autostrada solo villaggi, fattorie, castelli, chiese, e una natura disciplinata dal lavoro dei campi, mai l’orrore di capannoni affastellati con disordine, mai un condominio a 5 o 6 piani desolato in mezzo a un prato o svettante a violentare il profilo delle colline, la sonnolenta armonia dei piccoli paesi in cui il rosso del mattone armonizza con la terra e la sua storia.
        Nella terra di Francia è diverso. Ho chiesto spiegazioni: questo rispetto del paesaggio è frutto di una legge per la tutela ambientale con norme molto chiare secondo cui (salvo che nelle zone di espansione urbana), è possibile costruire soltanto abitazioni conformi ai modelli regionali che quindi in Bretagna sono diversi dalla Provenza o dalla Savoia e così via. Non è concesso cioè di fare, come in Italia, quasi tutto quello che ti pare, con la silenziosa o attiva complicità delle commissioni edilizie, delle fumose norme territoriali, dei piani regolatori, delle Sovraintendenze ecc. Vale a dire, cioè, di tutto quel coacervo di burocrazie e regolamenti studiati apposta per essere ignorati, come il tempo e la prassi hanno ormai ampiamente dimostrato.
       Tenete conto che nelle zone agricole in Francia, non si può neanche cambiare il tipo di coltura senza essere preventivamente autorizzati da un’autorità preposta. Altra curiosità: se vi capiterà di trovare delle attrezzature produttive, silos o grossi contenitori questi saranno necessitati da uno scopo agricolo. Da noi capannoni, opifici, magazzini, imprese, depositi a centinaia sono disseminati ovunque, (ricordo ai miei coetanei quegli anni in cui il motto dei nostri politici era: “Un campanile, una fabbrica!”) con il devastante risultato di aver distrutto un territorio affascinante, di averlo degradato esteticamente e talvolta anche ecologicamente. In Francia non è stato e non è così, e fa veramente star male il confronto.
Le industrie sono per lo più concentrate in aree vocate, altamente infrastrutturate ed omogenee, possibilmente lontane dai luoghi d’arte o di riconosciuto valore paesaggistico e quindi turistico.
        Tutte cose naturali, direte voi, ma evidentemente non è così: dalle nostre parti non c’è niente di “meno naturale” del buon senso, purtroppo.
Se in Italia e soprattutto nel centro Italia si è salvata parte dell’antica bellezza, del paesaggio e dei beni culturali, ciò è dovuto alla povertà, all’impossibilità di costruire e speculare selvaggiamente. Intendo dire che in gran parte d’Italia nel dopoguerra e fino agli anni 80, i soldi sono arrivati prima della cultura. Si sono salvati  gli ambienti più poveri (vedi centro Italia) dove la possibilità di costruire è arrivata più tardi, il consumismo è esploso quando già era maturata la consapevolezza del patrimonio culturale e ambientale, che costituisce la vera ricchezza del nostro Paese.

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