Convegno internazionale
PERCORSI DEL ROMANICO:
LA SCUOLA DEL MONFERRATO
ASTIGIANO
Il patrimonio del Romanico: risorsa per lo sviluppo
di un programma di turismo culturale
Sabato 29 settembre, Canonica
di Vezzolano, Sala del Refettorio
Sessione - Il Patrimonio del Romanico astigiano
Moderatore (sx) Prof. Renato Bordone - Relatore (dx) Prof. Mauro Volpiano
Territorio storico
e sistemi di beni culturali: esperienze di ricerca per l'Astigiano e il Monferrato
Prof. MAURO VOLPIANO (Dipartimento Casa-Città – II Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino)
Il sistema delle chiese romaniche presenti nel territorio astigiano, approfonditamente illustrato e descritto nel recente volume pubblicato dalla C.R.A., rappresenta un emblematico esempio di come nella connotazione del paesaggio sia necessario considerare le parti e il loro contesto come elementi imprescindibili. La localizzazione delle chiese, il loro orientamento, la loro riconoscibilità storico-artistica ed il loro significato culturale sono infatti intrinsecabilmente dipendenti dalle caratteristiche geomorfologiche, naturalistiche e colturali del loro intorno.
A questo proposito occorre sottolineare che il patrimonio romanico astigiano si trova concentrato nella porzione denominata Alto Astigiano o Basso Monferrato, una zona dal profilo collinare, storicamente coltivata a vigneto. Si parla, quindi, di un contesto di paesaggio agrario: ‘Quella forma che l’uomo, nel corso ed ai fini delle sue attività produttive agricole, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale’ Emilio Sereni in “Storia del paesaggio agrario italiano” del 1961.
Se il nostro obiettivo è promuovere iniziative di salvaguardia e valorizzazione del patrimonio storico, mettendo a sistema le chiese attraverso un circuito turistico di tipo culturale, allora dobbiamo occuparci anche della componente rurale, degli agricoltori e delle condizioni di permanenza sul territorio di un’agricoltura di tipo sostenibile, ovvero capace di rispondere in modo adeguato sia alle esigenze di gestione del territorio sia a quelle economico-produttive degli imprenditori agricoli.
Negli ultimi anni numerosi studi sono stati fatti al fine di comprendere i meccanismi di trasformazione del paesaggio agrario (Larcher et al., 2003)[1] (Larcher e Devecchi, 2007)[2]. Basti pensare che l’abbandono delle pratiche agricole e pastorali ha interessato, negli ultimi trent’anni, il 20% della superficie agricola italiana (Tirelli, 2000)[3]. Occorre sottolineare che l’abbandono delle attività tradizionali, in un territorio intensamente trasformato dall’uomo, non ha come conseguenza diretta la trasformazione di un “paesaggio culturale” in un “paesaggio naturale”; infatti, senza alcuna gestione, il paesaggio va incontro ad una fase di disordine e di incertezza, anche di natura ecologica, dalla durata non prevedibile, e con conseguenze negative di natura economica, sociale, nonché ambientale e di protezione del territorio.
L’abbandono delle terre marginali, accanto all’adozione di nuovi sistemi colturali, ha determinato in questi ultimi anni serie trasformazioni dei lineamenti più tipici del paesaggio agrario astigiano, con risvolti spesso estremamente negativi sulla gestione del territorio. Emblematica, al riguardo, appare l’eliminazione diffusa delle alberate stradali e delle siepi campestri, spesso allo scopo di agevolare l’impiego dei mezzi meccanici, come nel caso dei filari di gelso, dei pioppi e dei salici e delle siepi miste di arbusti quali il biancospino, il prugnolo, il sambuco, il sanguinello, il ligustro, la lantana, l’evonimo europeo e i rovi. Queste sottili strisce di vegetazione, oltre a sottolineare una suddivisione fortemente geometrica delle proprietà agricole di collina e di fondovalle, hanno anche assolto ad utilissime funzioni ecologiche, come corridoi e luoghi di nidificazione per la fauna spontanea, contribuendo al mantenimento degli equilibri ambientali anche nelle realtà interessate da un’agricoltura più intensiva.
Fenomeni consistenti di abbandono delle pratiche agricole hanno interessato le parti più scomode ed elevate delle colline e le aree meno favorevoli alla coltura della vite per esposizione o per tipo di suolo. Questa situazione si è verificata soprattutto nel nord dell’Astigiano, anche in conseguenza di una generale minor fertilità dei terreni, dove nel tempo la vegetazione spontanea ha potuto diffondersi. Ci si riferisce in particolare alle specie invasive come la gaggia (Robinia pseudoacacia L.), che attualmente rappresenta una delle specie arboree più diffuse. Interessante appare anche l’impatto, paesaggisticamente non irrilevante, dell’arboricoltura da legno che ha riguardato essenzialmente i pioppi ibridi euroamericani e, nel recente passato, su scala sperimentale viste le esigue superfici coperte, il pino strombo (Pinus strobus L.) (Mondino, 1985)[4].
Ritornando alle trasformazioni indotte dalle pratiche agricole sul paesaggio occorre osservare che, nel tempo, l’agricoltore ha dovuto far fronte a sempre nuove e maggiori esigenze di tipo tecnico-produttivo, legate ad esempio: alla variazione del valore dei prodotti sui mercati, all’esigenza di ottenere prodotti con elevati standard di qualità, alla mancanza ed al costo di manodopera, alla comparsa di nuovi problemi colturali (cambiamenti climatici, nuovi fitopatogeni, ecc…). Esempio emblematico è rappresentato nelle aree viticole dalla comparsa della Flavescenza dorata, fitoplasmosi trasmessa dalla cicalina americana Scaphoideus titanus, segnalata in Italia dagli anni ’70. Negli ultimi anni non si può negare che questa malattia abbia avuto anche conseguenze sul paesaggio delle aree colpite e queste conseguenze, seppur attribuibili in parte a ‘imprudenze’ umane, sono caratteristica intrinseca del paesaggio stesso che è in continua evoluzione.
Il quadro tuttavia si complica ulteriormente, quando si osservano interferenze sul paesaggio ben più serie ed incisive, causa di un’antropizzazione generalizzata anche in aree a funzionalità agricola o naturale. Ne sono un esempio le trasformazioni connesse ad un diffuso inserimento nel territorio di capannoni ad uso agricolo o commerciale, ed alla realizzazione di nuove infrastrutture viarie. I cambiamenti intervenuti, pur legati ad un auspicabile sviluppo economico del territorio, hanno in molti casi compromesso le peculiarità del paesaggio astigiano, portandolo ad una grigia omologazione rispetto ad innumerevoli altre situazione diffuse un po’ ovunque nel nostro Paese.
In conclusione, la qualità di un paesaggio si misura in termini di riconoscibilità, di identità di ciascun sito e di equilibrio di tutte le sue componenti.
Progettare interventi di valorizzazione del territorio necessita quindi di un approccio multidisciplinare e, nel caso dell’Astigiano, non può che fare riferimento al contesto agrario ed alle sue peculiarità enogastronomiche e naturalistiche oltre che storico-culturali.
[1]Larcher F., Lombardi G., Reyneri A., 2003. Analisi del dinamismo territoriale nelle zone marginali per una razionale programmazione territoriale. L’evoluzione agro-ecologica del paesaggio in Alta Langa negli ultimi cinquant’anni. Genio rurale, 11, 55-64.
[2] Larcher F., Devecchi M, (a cura di), 2007. Salvaguardia e valorizzazione del paesaggio bioculturale. Metodologia di studio e risultati di una ricerca condotta nel Basso Monferrato Artigiano. Ace International, pp.211.
[3] Tirelli F., 2000. Sviluppo rurale e impiego della terra. L’Informatore Agrario, 32, pp.7.
[4] Mondino G.P., 1985. Ciclo evolutivo della vegetazione forestale nel Monferrato (Piemonte). Annali dell'Accademia italiana di Scienze forestali, Vol. 34, 227-245.
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