Convegno internazionale

PERCORSI DEL ROMANICO:

LA SCUOLA DEL MONFERRATO ASTIGIANO
Il patrimonio del Romanico: risorsa per lo sviluppo di un programma di turismo culturale
Sabato 29 settembre, Canonica di Vezzolano, Sala del Refettorio

 

Sessione - Il Patrimonio del Romanico astigiano

Moderatore (centro) Prof. Renato Bordone - Relatore  (sx) Arch. Paola Salerno e (dx) Fernando Delmastro.

 

Vezzolano: lo jubè e gli jubè d’Europa, un percorso di conoscenza

Arch. PAOLA SALERNO (Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio del Piemonte)

e Arch. FERNANDO DELMASTRO (Libero Professionista)

    Santa Maria di Vezzolano, complesso architettonico ed artistico che riveste un’importanza riconosciuta, conserva un elemento di interesse particolare che la colloca in una dimensione europea.

     Si tratta dello jubé o, più correttamente, in italiano “pontile tramezzo”. In Italia  è noto solo un altro jubé, a Bolzano nella chiesa dei Domenicani. In Europa gli esempi sono più numerosi anche se in Francia, il paese che ne conserva di più, Viollet-le-Duc ne cita solo nove , tra esistenti e scomparsi, sia gotici che rinascimentali. In tale panorama lo jubé di Vezzolano (si rimanda a: Santa Maria di Vezzolano – IL PONTILE – ricerche e restauri, a cura di P. Salerno, Torino, 1997) spicca quindi per rarità, antichità e stato di conservazione; in particolare, i colori originali delle sculture sono praticamente intatti. L’originalità e l’esiguo numero degli jubé meritano un breve approfondimento terminologico e sull’uso di culto.

     La parola jubé deriva da un adattamento fonetico dell’imperativo del verbo latino iubere, che costituisce l’inizio della frase «Jube Domine benedicere…», con la quale il diacono o il lettore invocava la benedizione prima della lettura del Vangelo o delle altre letture. Riteniamo che lo jubè si possa definire come un elemento architettonico costituito da un sistema porticato sormontato da una tribuna, il quale, posto trasversalmente alla navata centrale della chiesa, separa quest’ultima dal coro propriamente detto. Quindi il termine “ambone”, a volte adottato, risulta impreciso: infatti, se da un lato anche l’ ambone ha funzione di palco rialzato, dall’altro lo stesso termine non descrive la funzione di divisione della navata. Il termine pontile è corretto per descrivere una  suddivisione rialzata, come quella presente nel duomo di Modena, ma non è sufficiente in quanto non sottintende la presenza anche di una struttura isolata con parapetto posteriore, assente a Modena e presente a Vezzolano. Bisogna pertanto aggiungere a ”pontile” il termine “tramezzo” ma è evidente come il doppio termine sia alquanto scomodo, come peraltro appare forse troppo astratta la definizione di “transcoro” da altri proposta.

     Per queste ragioni è comprensibile l’uso del termine jubé, secondo l’uso dei francesi, che introducono a tale proposito un ulteriore concetto, molto interessante. All’interno delle grandi chiese medievali essi definiscono lo spazio interno circoscritto dallo jubé e dal retrostante coro come la “chiesa dentro la chiesa” ed assegnano ad esso un carattere ancora più sacro del resto dell’edificio. Mi piace interpretare lo jubé come la facciata di questa chiesa interna.

     Sulle origini si può dire, in estrema sintesi, che gli studiosi ritengono lo jubé frutto dell’evoluzione e dell’unione di diversi elementi architettonici delle chiese dei primi secoli, sempre legati a scopi liturgici. Esso deriverebbe dallo chancel o chiusura del coro, dagli amboni e dalla trave di gloria (trabs doxalis) che occupavano il limite del coro, riservato al clero, mentre la navata era destinata al popolo. Tra il XIII e il XVI secolo in Francia, ma anche in Germania, in Gran Bretagna, in Spagna e nell’attuale Belgio si costruirono pontili in ogni chiesa, monastica, parrocchiale o cattedrale, con numerose varianti di stile ma sempre secondo la tipologia consolidata già in epoca romanica. In Francia famose cattedrali come Chartres, Bourges e Parigi possedevano spettacolari jubé, di cui purtroppo non ci sono pervenuti che i resti, spesso reimpiegati, o i disegni.

     A partire dal XVII secolo quasi tutti i pontili subirono rifacimenti o più spesso la demolizione per i cambiamenti determinati dalla controriforma e dagli stessi mutamenti del gusto decorativo (a parte casi anche precedenti di distruzione per motivi di guerre di religione). Il termine «ambonoclasta» usato dall’abate J. Baptiste Thiers, indica lo spirito che dovette pervadere la maggior parte del clero e anche dei laici quando si incominciò a modificare profondamente lo spazio liturgico.

     A metà Ottocento il gusto per l’antichità fece riscoprire ad alcuni archeologi i pochi pontili rimasti, e infatti i primi «inventari» e studi sui pontili, soprattutto francesi, vennero redatti solo successivamente alla pubblicazione, nel 1854, della voce jubé sul Dictionnaire di Viollet-le-Duc. Dal punto di vista propriamente architettonico, la struttura portante è costituita da un portico ad arcate su colonnine, con numero delle campate normalmente dispari. Ciò permette di avere la campata centrale dominante, in corrispondenza. dell’ingresso al coro, con l’altare maggiore sullo sfondo. Inizialmente a tre o cinque campate, lo schema si evolve e il numero di colonnine e di arcate cresce negli esempi di gotico più maturo. Nel pontile di Bourges, ricostruito virtualmente, gli archi, ogivali, sono addirittura undici. Al di sopra del portico si eleva un muro che termina con un parapetto o balaustra. Sotto le volte, due altari sono posti a lato della porta centrale che comunica col coro. L’insieme sopra descritto forma la «facciata» principale del pontile, volta a ovest, mentre il retro, verso l’altare maggiore, è costituito da un muro pieno, in cui è praticato generalmente un solo varco, cui si addossano una o due rampe di scale per raggiungere il livello superiore. Spesso è presente un Crocifisso centrale, con a lato le figure della Vergine e di san Giovanni, palese ricordo della trave dossale su citata, che  segnava l’inizio del coro. Quando il Crocifisso non è presente, o anche contestualmente a esso, uno degli altari sotto il pontile è dedicato alla Santa Croce; ciò si verifica  anche per Vezzolano. Tutti gli elementi del pontile, all’infuori del muro posteriore, erano riccamente ornati e decorati. La parte superiore della tribuna aveva la ricca balaustrata marmorea scolpita, a volte rivestita con materiali preziosi o più spesso dipinta e dorata. Il fregio dello jubé di Bourges era decorato, tra una scultura in rilievo e l’altra, da vetri colorati accostati secondo uno schema geometrico che creava uno sfondo alle sculture stesse, dando un effetto di cangiante luminosità e ricchezza e che richiamava la trasparenza delle vetrate dell’abside. Per quanto concerne l’apparato iconografico un tema che venne sempre riproposto con il massimo risalto, se pur con svariate modifiche e interpretazioni, fu quello della Crocifissione, ripreso nella dedicazione di uno degli altari sotto il pontile, come accade anche a Vezzolano, oppure nel rialzo centrale che si ritrova in alcuni pontili, come a Bourges. Gli altri temi frequenti erano la raffigurazione dei quattro evangelisti, in modo più o meno simbolico, il ciclo della Passione, la vita di Maria (nelle chiese appositamente dedicate al culto mariano, come Vezzolano), o scene e soggetti tratti dalle Sacre Scritture, come l’Apocalisse (vedi Serrabone) o i profeti oppure, ancora, la vita di alcuni santi cui era intitolata la chiesa. Il tema degli antenati di Cristo, proposto a Vezzolano, non viene mai citato in altre descrizioni conosciute.

     Abituati all’attuale liturgia ci riesce difficile immaginare il vero impatto emotivo di uno jubé sui fedeli di allora. La funzione del pontile era quella di creare una separazione tra lo spazio dei fedeli nella navata e quello del clero nel coro e, forse, contestualmente assicurare nella parte più interna della chiesa una zona esclusivamente destinata alla preghiera e alle celebrazioni. Secondo quanto scrive Viollet-le-Duc, l’assistenza dei fedeli nelle chiese monastiche era solo accessoria e i religiosi, rinchiusi nel coro, non erano e non dovevano essere visti dalla navata; i fedeli sentivano i loro canti, vedevano i chierici saliti sul jubé per leggere l’epistola e il Vangelo e non potevano scorgere l’altare che attraverso la porta del jubé, quando ii velo era tirato».

     Riguardo alle attività che si svolgevano nelle varie occasioni liturgiche sopra il pontile e anche al di sotto di esso, cioè intorno agli altari predisposti per le celebrazioni di fronte al popolo, H. Leclercq nel suo Dictionnaire scrive che «lo jubé di una chiesa per la sua forma, la sua posizione, la sua destinazione, diveniva naturalmente il luogo di comunicazioni ufficiali del clero con i fedeli» infatti dall’alto del pontile venivano recitate le sacre letture, letti gli annunci imi portanti e cantati i salmi.

     La  necessità di coinvolgere il popolo dei fedeli nella celebrazione liturgica dovette però essere sentita , soprattutto nelle chiese non monastiche.. Sulla balaustrata del pontile verso la navata erano posti i due leggii dove i diaconi o i suddiaconi leggevano il vangelo e l’epistola. A volte la balaustrata aveva una sporgenza da cui si potesse meglio parlare ai fedeli. Esaurita questa breve trattazione di ordine generale, a titolo di esempio, si citano alcuni jubé ancora esistenti (o di cui si conservano resti significativi), presentati in ordine cronologico, essendo queste “sopravvivenze” dovute a destini molto diversi che non consentono quindi particolari ordinamenti o raggruppamenti critici.

 

Lo jubè della Canonica di Santa Maria di Vezzolano

 

Serrabone (FR) – chiesa di Santa Maria – sec. XII. In una sperduta valle dei Pirenei, una austera chiesa in pietra grigia conserva uno jubé in marmo chiaro riccamente scolpito, probabilmente il più antico di Francia.

 

Bourges (FR) – chiesa di Saint-Etienne – inizio sec. XIII. Il fortunato ritrovamento dei resti dl grande jubé di una delle maggiori cattedrali francesi ci permette di ammirarne ancora l’assoluta maestria della scultura e della decorazione.

 

Londra (GB) – chiesa di San Pietro in Westminster – 1245/1259. In Inghilterra sono molto diffusi gli screen, tramezzi traforati, sostanzialmente bidimensionali. Al contrario, questo è un vero pontile tramezzo, completo di coro.

 

Naumburg (D) – chiesa dei Santi Pietro e Paolo – 1250/1270 – inizio XIII, 1330. Due jubé nella stessa chiesa, biabsidata. Uno dei due, con un notevole protiro centrale, è riccamente decorato e con cromie originarie.

 

Sion (CH) – chiesa fortezza di Valère - metà sec. XIII. Uno jubé architettonicamente molto simile a Vezzolano, privo però del fregio scolpito, è posto nella navata centrale, in quella che presumibilmente avrebbe dovuto essere la corretta posizione del nostro jubé, poi costruito più verso la facciata.

 

Albi (FR) – chiesa di Santa Cecilia – sec. XV. Probabilmente il più spettacolare jubé di Francia, sia per la conservazione del ricchissimo apparato decorativo, sia per le dimensioni.

 

Saint-Bertrand-de-Comminges (FR) - chiesa di Santa Maria – 1535. Notevole esempio di jubé in legno, in cui la superficie del coro occupa gran parte di quella complessiva della chiesa.

 

Troyes (FR) - chiesa di Santa Maddalena – sec. XVI. Originale esempio di jubé a campata unica, completamente sospeso sopra la navata.

 

Parigi (FR) – chiese di Saint-Etienne–du-Mont – sec. XVI. Particolarissimo jubé con scale a chiocciola in marmo traforato che conducono al pontile trasversale e ad una passerella in pietra sopraelevata che circonda tutto il coro interno.

      In conclusione, la qualità di un paesaggio si misura in termini di riconoscibilità, di identità di ciascun sito e di equilibrio di tutte le sue componenti. Progettare interventi di valorizzazione del territorio necessita quindi di un approccio multidisciplinare e, nel caso dell’Astigiano, non può che fare riferimento al contesto agrario ed alle sue peculiarità enogastronomiche e naturalistiche oltre che storico-culturali.

 

*****