Tavola rotonda

Quali prospettive per una nuova gestione dei paesaggi agrari piemontesi?”

Francesco Alberti Lamarmora (Presidente del Coordinamento degli Osservatori Piemontesi del paesaggio)

Le pianure in Italia sono malate; hanno una brutta cera, mostrano uno stato confusionale e, soprattutto, nessuno ne riconosce i caratteri qualitativi da un punto di vista paesaggistico. Sono una terra di conquista per supermercati, aree artigianali e villette a schiera, il tutto a formare un unico insediamento diffuso che progressivamente consuma territorio; L’urbanizzazione che ne risulta appare, sparsa  priva di un disegno e non sostenuta da un’adeguata maglia di infrastrutture e di servizi. Essa si dirama nei centri urbani preesistenti, più o meno antichi, più o meno grandi, investendo il resto del territorio, talvolta seguendo i principali assi stradali, più spesso senza direttrici prevalenti; la città diffusa raramente si espande  a macchia d’olio, piuttosto presenta soluzioni di continuità che la portano verso una matrice a macchia di leopardo. L’attività agricola d’altro canto, non è in grado di arginare questo processo poiché la profonda crisi che attraversa il settore, ne inibisce la capacità di costituire un argine contro questa forma di urbanizzazione; la sostituzione del reddito agrario con la rendita fondiaria è il processo economico che sta alla base di questa grande trasformazione del paesaggio,  nella quale appare del tutto evidente quanto sia prevalente la scelta di sacrificare i segni sedimentati , la struttura stessa del paesaggio preesistente, rispetto al tentativo di produrre interventi coerenti  con il luogo, in grado cioè di rispettare quel filo conduttore che lo lega al proprio passato. L’agricoltura vive una situazione di crisi non solo economica ma di identità, è marginale, spesso povera e non suscita interesse al punto che, negli strumenti urbanistici, le viene attribuito il bianco, il “non-colore”. Le altre aree, al contrario, sono evidenziate con forti colori poichè interessanti per lo “sviluppo”, mentre l’agricoltura (la cura del territorio) è ancora percepita come area di “sotto-sviluppo” o comunque di “non-sviluppo”. Fino a poco tempo fa  le aree agricole risultavano mediamente di superficie maggiore rispetto alle altre pertanto il non-colore era anche una scelta economica (per una ragione di tempo quando le carte si coloravano a mano e per un minor consumo di cartucce da quando si usano le macchine), ma la città diffusa sta rapidamente invertendo la proporzione. In un momento in cui ciò che era positivo si rivela negativo, e viceversa, è importante dare voce e colore alle aree bianche, metterne in evidenza la consistenza e le connessioni per ri-conoscere, anche nel Biellese, il giacimento del nuovo “sviluppo”. Le aree bianche sono, a nostro parere, spazi che in generale devono assumono un ruolo baricentrico nella pianificazione, una rivoluzione copernicana che dovrebbe essere adottata in particolare nei nuovi paesaggi planiziali costituiti da urbanizzazioni diffuse; esse garantiscono qualità dei luoghi e qualità della vita poiché solo grazie al riconoscimento collettivo del valore della componente agricola, si potrà pensare ad una reale riqualificazione territoriale.

Andrea Polidori

Francesco Alberti La Marmora

Osservatorio per i Beni Culturali ed Ambientali del Biellese