CONVEGNO

“Salvaguardia e valorizzazione del paesaggio bioculturale: metodologia di studio e risultati di una ricerca condotta nel Basso Monferrato Astigiano”

Arch. Elisabetta Serra (Direttore dell'Ecomuseo del Basso Monferrato Astigiano) .

Arch. Elisabetta Serra (Direttore dell'Ecomuseo del Basso Monferrato Astigiano) 

 

         Gli ecomusei sono una realtà ormai decennale, eppure sono ancora molti a non sapere cosa sono. Normalmente si crede che siano delle sorti di “musei del territorio”; “musei dell’ecologia”; “musei del paesaggio”, “musei della memoria”. Bene: gli ecomusei non sono musei. Gli ecomusei nascono come enti vocati alla conoscenza, promozione e valorizzazione delle memorie di un luogo. Ma quello che è ancora più importante è che nascono su spinta di una comunità locale che desidera conoscere meglio se stessa, per meglio decidere del proprio futuro. Esistono quindi ecomusei prettamente “rurali” come quello della pastorizia a Demonte; ma esistono anche ecomusei che testimoniano un passato industriale o proto-industriale come quello delle miniere di Prali o l’ultimo nato sul patrimonio industriale torinese. L’ecomuseo del nord di Asti è formato da 73 comuni che hanno aderito e che hanno delegato l’agenzia di sviluppo GAL di gestire le risorse che, la Regione, annualmente, mette a disposizione. Accanto ai Comuni vi sono, nella struttura di gestione ecomuseale, le Confederazioni Agricole, quelle dell’Artigianato, la Camera di Commercio, la Provincia, la Fondazione Cassa di Risparmio. Nella pratica quotidiana di gestione i contatti principali sono con le direzioni scolastiche e con le associazioni locali. Non è a caso che l’ente gestore sia una agenzia di sviluppo. Guardare a ieri per costruire, oggi, il domani. Gli ecomusei, dunque, non hanno come compito specifico quello di preservare, proteggere, salvare un passato e i suoi segni al fine di museificarli. Non collezioniamo oggetti contadini, non acquisiamo aree da vocare a parco, non seminiamo antiche cultivar. O meglio: tutto questo è possibile che avvenga all’interno di un ecomuseo, ma non è l’obiettivo unico e principale della legge istitutiva.

              Il compito dei contemporanei, che hanno scelto di risiedere qui, è quello, lo ribadiamo, di “costruire oggi la memoria di domani”; “di scegliere oggi cosa cambiare nel paesaggio che lasciamo ai nostri figli”. Conoscere bene il proprio passato, ma avendo come fine quello non di riproporlo o di venerarlo ma di interpretarlo alla luce di quei valori e di quelle etiche che lo hanno prodotto e soprattutto dei bisogni di oggi. I miei bisnonni, residenti in Astigiano, hanno voluto la luce elettrica e l’acqua corrente, i nonni hanno voluto il bagno in casa, i miei genitori i termosifoni, io internet e il satellite. Questo ha comportato strutture elettriche, strutture fognarie, strutture idrauliche e per il gas, strutture telefoniche, informatiche e satellitari. Le esigenze della mia famiglia hanno modificato il paesaggio. Non sono più poveri, fortunatamente. Quel paesaggio là era un paesaggio di una civiltà povera. L’ecomuseo di Asti lavora con 10.000 bambini nelle scuole del territorio. Lavorando sugli antichi mestieri è ormai consolidato il convincimento che, per conoscere le antiche lavorazioni, bisogna parlare con i bambini rumeni e albanesi piuttosto che con i “nonni” piemontesi che ormai hanno i ricordi della loro giovinezza legati a Mirafiori e alle serate al bar a vedere “rischiatutto”. Per conoscere profondamente un mondo povero bisogna entrare in contatto con la povertà, ovunque essa abbia avuto origine; là c’è lo spirito dei miei avi contadini. Mia nonna a dodici anni fu portata al mercato di Casalborgone e data in carico a una famiglia torinese dove ha fatto la “badante”, la “colf” fino al matrimonio. È tornata in astigiano, per viverci, alla pensione, negli anni sessanta. Il rimpianto della famiglia lontana, della infanzia negata, delle angherie, dei pagamenti mancati, della paura della legge, dei silenzi: ieri come oggi. Altre lingue, altri paesaggi, altra identica storia. Il paesaggio intonso del Vezzolano è anche il paesaggio del dolore e dell’emigrazione. Lo stesso incontaminato paesaggio di certe regioni della Romania, ormai abitate solo da vecchi. Nell’ultimo quinquennio le campagna hanno invertito il trend negativo di decrescita. Famiglie di rumeni, moldavi, albanesi, macedoni, tornano a vivere in campagna: costa meno, ci sono più spazi, c’è lavoro, si possono crescere i bambini all’aperto. Accogliamo questi nuovi poveri in crescita economica, in nome e per conto dei nostri vecchi. Nei mercati sono tornati in gran spolvero: cavoli bianchi, cavoli neri, cavoli viola, porri, cipolle, cipollotto, patate, acciughe, carpe, trippa, ali di polli. Siamo noi opulenti studiosi diventati virtuosi o sono loro che comperano le verdure che costano meno e che, guarda caso, sono locali e di stagione. Ma noi, ex poveri, siamo disposti a “decrescere”, a rinunciare, a togliere? Il paesaggio non si costruisce da solo, non è solo affidato agli imprenditori agricoli, il paesaggio è affidato anche a noi che parliamo di paesaggio ma non lo zappiamo mai. Siamo disposti a spendere di più per comperare una mela prodotta in astigiano? Siamo disposti a mangiare per due settimane di seguito zucchini perché “è stagione”? Siamo disposti a porre vincoli e obblighi anche a noi stessi? Delle terre pertinenziali le nostre seconde case di campagna sempre e solo lasciate a gerbido ci pensiamo mai? AI danni che causiamo ai contadini con i nostri focolai di infezione? Siamo disposti noi laureati a vivere un po’ più da poveri, perché è così che si salva il paesaggio? Avere quindici gradi in casa? Tenere delle faraone in cortile per lotta biologica alle cavallette? Forse oltre a premiare gli imprenditori agricoli virtuosi bisognerebbe bastonare un pochino i cittadini in gita. Lo sguardo sul passato deve essere più realista. I contadini erano poveri. La campagna si stanno ripopolando nuovamente di classi povere. Incentiviamo, aiutiamo, ma non impediamo alla gente di evolvere il loro modo di vivere. I poveri, i contadini, la loro parte l’hanno fatta. Spetta a noi fare la nostra. Con maggiore umiltà.

Elisabetta Serra,

Direttore Ecomuseo regionale basso monferrato astigiano