Discariche. Questioni etiche ed ambientali.
(terza parte)
Dott. Franco Correggia
Associazione Terre, Boschi, Gente e Memorie
L'arte nell'ex-discrica astigiana di Valle Manina - Artisti della Casa degli Alfieri
I paesaggi non perturbati, le campagne libere da cemento, gli angoli verdi non violentati, le valli boscose non implose e collassate nella morsa delle infrastrutture viarie, le aree di pregio ambientale non protette da un riconoscimento formale, i confinati ed insularizzati lembi relittuali di territorio faticosamente sopravvissuti alla frenesia edificatoria del nostro tempo costituiranno il serbatoio privilegiato di siti per discariche, cui attingere incessantemente e senza remore sino al giorno del loro completo esaurimento. Attraverso meticolose sovrapposizioni cartografiche e spericolate chirurgie topografiche, i cacciatori di discariche scoveranno uno ad uno questi ambiti scarsamente antropizzati, erodendo e cancellando senza tregua il territorio ancora sano, finché anche l’ultimo di essi sarà accuratamente imbottito di rifiuti e assorbito nella metastasi cementizia. Poi si vedrà; di certo la tecnologia del futuro escogiterà qualche nuova e salvifica soluzione.
E se tutto ciò sul piano paesaggistico, ecosistemico e territoriale è corrosivo, devastante e suicida, sul piano etico è vagamente ripugnante. Tale approccio metodologico conduce infatti al seguente paradosso: i Comuni che, indifferenti al saccheggio e allo scempio delle emergenze naturali e culturali, avranno piegato a loro favore, sfruttato e capitalizzato tutti i vantaggi di tipo economico che derivano da una gestione disinvolta, predatoria e irresponsabile del territorio (fatalmente culminante con il degrado e il disordine irreversibile di quest’ultimo) non solo si troveranno a beneficiare di detti vantaggi (seppur effimeri nel lungo periodo), ma si scopriranno altresì liberati in modo automatico e risolutivo dal problema dello smaltimento dei rifiuti. Questi infatti li scaricheranno con compiaciuta allegria (e insolente protervia) su quei patetici Comuni che, rinunciando ad elevare il proprio prodotto interno lordo attraverso la vivisezione del territorio, avranno portato avanti coraggiose e oculate politiche di salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio.
La morale che ne deriva è agghiacciante: la gestione attenta e lungimirante del territorio, fatta di percezione e rispetto per le valenze ambientali e culturali che lo abitano, è controproducente e autolesionista; in base ad una logica beffarda, conduce a diventare il livido, tetro e maleodorante ricettacolo dei rifiuti altrui. Dunque, è una cosa da fessi. Furbi sono invece quelli che intrattengono buoni rapporti con il cemento e l’asfalto; in casa loro i miasmi e i veleni delle discariche non arriveranno mai.
Per uscire da questa logica nefasta e mortifera è assolutamente necessario introdurre, sul piano metodologico, dei correttivi alla filosofia di base che ispira la ricerca dei siti dove ubicare le discariche. In questa sede (oltre a sottolineare con forza la prioritaria esigenza di incentivare ed incrementare raccolta differenziata, riciclaggio e riutilizzazione dei materiali di scarto e, molto più importante, di abbattere a monte la produzione dei rifiuti) ci permettiamo di suggerire uno di questi possibili correttivi, a nostro avviso di significato cruciale. Accanto ai fattori “escludenti”, che vietano di considerare come potenziali accettori di discarica le aree soggette a vincoli specifici di tutela, e ai fattori definiti (con opinabile scelta degli aggettivi) “penalizzanti”, che sconsigliano, pur senza impedire tassativamente, di collocare le discariche in zone ospitanti elementi sensibili di varia natura (paesaggistica, idrogeologica, storico-culturale, residenziale, ecc.), è centrale dare corpo e peso specifico ai fattori “preferenziali”, quei fattori cioè che concorrono positivamente nel definire l’idoneità di un dato luogo ai fini dell’ubicazione di un impianto di smaltimento per i i rifiuti. Oggi abbiamo la sensazione che questa categoria di fattori giochi un ruolo marginale e produca effetti blandi nella determinazione delle scelte, limitandosi ad aumentare moderatamente il livello di attenzione verso quelle (poche) aree che sono gravate da pesanti e macroscopici elementi di degrado (p. es. cave dismesse). Proponiamo invece che il più importante ed incisivo di tali fattori preferenziali divenga la misura del consumo e del disordine territoriale.
Ambiti dove si registri un’accentuata compromissione del paesaggio (causata dalla proliferazione diffusa e cancerosa di elementi dissonanti) devono essere fortemente preferiti quali sede di discarica ai contesti territoriali non degradati dove la pressione del costruito è minore e dove gli assetti paesistici (con la loro correlata rete di ecomosaici e di matrici ecosistemiche) si connotino sulla permanenza di un equilibrato e strutturato tessuto di naturalità e ruralità. Ciò sulla base del convincimento (maturato dal comune buonsenso prim’ancora che da pur solidissime valutazioni razionali e scientifiche) che sia infinitamente preferibile collocare una discarica non lontano da assi viari, corridoi trasportistici, installazioni industriali e forme varie di caos urbanistico-edilizio, piuttosto che incunearla a forza nell’agro di piccoli borghi medioevali arroccati, in mezzo a boschi, prati e campagne tradizionali dal sapore antico.
(Fine)
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