Discariche. Questioni etiche ed ambientali.
(seconda parte)
Dott. Franco Correggia
Associazione Terre, Boschi, Gente e Memorie
Veduta dell'ex-discrica astigiana di Valle Manina
Consideriamo ora il caso di un Comune astigiano che ha regolato la propria espansione e modulato il proprio sviluppo conservando un alto grado di ordine territoriale e rispettando in modo attento le qualità paesaggistiche e le peculiarità bioculturali di pregio che esprime. Un Comune quindi dove non si è verificata con progressione tumorale la disseminazione dilagante e invasiva del costruito e dove ampie quote di territorio (anche se non esplicitamente soggette a misure “formali” di tutela) accolgono tuttora una equilibrata successione di boschi, prati, zone umide, campagne tradizionali, biotopi e microambienti che concorre a disegnare ecomosaici complessi, a garantire la permanenza di significativi contenuti di biodiversità, a conservare l’omeostasi interna dei locali sistemi bioecologici, a salvaguardare le sedimentazioni di storia, memoria, identità, bellezza e saggezza che i luoghi hanno accumulato nei secoli. Un Comune cioè dove l’irruzione di asfalto e cemento non ha riconfigurato radicalmente la sua fisionomia naturale e culturale. Ebbene, su realtà di questo tipo (che individuano i gangli vitali della rete di ambiti e contesti in cui si concentrano le valenze naturalistiche, storiche, memoriali, paesaggistiche ed estetiche del territorio provinciale) è molto probabile che, nel corso del febbrile processo di ricerca dei siti per discarica, si posino gli sguardi famelici dei pianificatori. E ciò non per una sadica e innata perversione di questi ultimi, ma perché è là che esistono gli ultimi, ambitissimi “spazi” liberi da vincoli, impedimenti e fattori escludenti in cui dislocare i detestati impianti per lo smaltimento dei sempre più soffocanti rifiuti.
Così l’arcadico borgo di campagna rispettoso delle qualità ambientali e dei valori territoriali diverrà paradossalmente il candidato ideale per “beccarsi” l’immondezzaio provinciale, in una sorta di condanna senza appello in quanto la sua individuazione si fonda su fredde, matematiche, oggettive e inoppugnabili analisi scientifiche. Tecnici e amministratori allargheranno le braccia con atteggiamento fatalista, giustificandosi con l’affermazione vagamente paternalistica che “qualcuno la discarica deve pur prendersela”. Amen.
È tuttavia evidente che l’applicazione ciclicamente ripetuta di “filosofie” e metodologie del tipo di quelle sopra descritte conduce invariabilmente a risultati che se non fossero tragici sarebbero comici. Le discariche, con i loro correlati e inalienabili effetti di impatto e degrado, verranno preferibilmente (o forse esclusivamente) collocate laddove si conservano e si addensano la bellezza, l’equilibrio e le armonie del territorio, perché è là che si annida il prezioso quanto carente spazio fisico necessario all’alloggiamento delle tecnopattumiere. Solo in tal modo queste ultime non turberanno le “aree interdette” a protezione di eleganti capannoni in vetro-cemento, di sinuosi nastri d’asfalto percorsi da fumanti autoveicoli o di anonime villette a schiera traboccanti raffinatezza e buon gusto, spuntate qua e là come i funghi dopo la pioggia.
(continua)
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