Grandi paesaggi e piccoli comuni
Prof. Dario Rei
Comitato “Frutteto della Canonica di Vezzolano”
Veduta della Chiesa romanica di San Nazario e Celso a Montechiaro d'Asti, situata in un paesaggio agrario di eccezionale valore..
La recente polemica sulla proposta di abolire le Giunte nei piccoli comuni (sotto i 3000 abitanti) solleva complesse questioni di funzionalità amministrativa, che conviene affrontare in modo dettagliato in altra sede. Provo a indicare invece alcune implicazioni per quanto attiene la gestione del paesaggio, del territorio e dell’ ambiente. Si potrebbe osservare, in primo luogo, che se un sindaco vuole, anche in ciò, “fare il podestà” (come si dice , con colorita o nostalgica espressione, peraltro sorvolando sul fatto che i podestà erano nominati dall'alto e non eletti) giunta o non giunta, consiglio o non consiglio, ci proverà comunque. Si capisce che avere molte risorse umane di amministrazione – al di là dell’ esistenza di un organo formale che affianchi il sindaco- è una esigenza vitale per piccoli comuni. Una soluzione di gran lunga più semplice, e anche più democratica, esiste: il sindaco faccia un uso più largo e sapiente delle deleghe di cui dispone, distribuendole ai consiglieri, al meno a quelli della sua maggioranza, arrivando magari a coinvolgerli tutti in precise disponibilità di impegno. Saggiando in sede di campagna elettorale le competenze a fare dei singoli candidati, si rivitalizza la funzione del consigliere, si selezionano non i portatori di voti e di interessi, ma coloro che hanno voglia di impegnarsi, si rende più utile il consiglio stesso. I cittadini disporrebbero di una molteplicità di persone a cui fare riferimento, e la vita democratica dei piccoli paesi (che a parole tutti dicono di voler salvaguardare) non potrebbe che giovarsene. Una ampia distribuzione delle competenze, unita alla maggior circolazione di idee e progetti, farebbe molto bene soprattutto nelle materie citate (gestione del paesaggio, e del territorio che lo supporta); al contrario la concentrazione di competenze ed interessi in poche mani rischia di introdurre modificazioni irreversibili e negative, a detrimento di valori e qualità che sono - almeno in linea di principio – ritenuti rilevanti per intere comunità. Non appare casuale se in linea pratica un Piano regolatore comunale sia avvertito come un semplice strumento propedeutico a concessioni edilizie, piuttosto che un modo condiviso di determinare scelte complessive di uso e gestione del territorio, concernenti la conservazione di quanto esiste e le trasformazioni da introdurre. Ciò anzi appare particolarmente grave laddove le elevate qualità paesistiche, naturali, ambientali, storico-artistiche di un territorio siano state riconosciute a livelli istituzionali superiori e da strumenti come il Piano territoriale di coordinamento della Provincia, il Piano territoriale regionale, i Piani paesistici affidati alla Soprintendenza per i Beni architettonici e per il paesaggio. Colpisce invero che le indicazioni che richiamano l’attenzione ai valori da tutelare, ed al rispetto di scenari, aree di pregio, beni naturali e culturali , siano avvertite (e perfino lamentate) come vincoli e limitazioni frapposte alla pretesa libertà di disporre “come meglio si crede” del territorio, che “naturalmente ci appartiene”. Mentre dovrebbero essere assunte e portate avanti come un doveroso richiamo ai parametri di qualità progettuale, rifuggendo da tipologie costruttive, materiali e ubicazioni, che determinano profili percettivi più consoni a periferie urbane che a zone a distintiva connotazione collinare. Come se si prendesse la pura e semplice dispersione di memorie, e l’irrecuperabile distruzione della identità dei luoghi, come segno di (apparente) modernità, e non invece sintomo di un inguaribile provincialismo. Intorno a questioni come queste, la vita amministrativa dei piccoli comuni avrebbe molto da dire e da fare, attivando concertazioni di area vasta (a livello di comunità collinari ad esempio) e aprendosi alla interlocuzione con le iniziative di associazioni e cittadini, che si adoperano per la salvaguardia dei paesaggi tradizionali, il recupero dei segni dispersi della storia locale, l’ osservazione attenta sulle trasformazioni avviate. Invece sono pochissimi , temo nessuno, i Comuni che hanno istituito la Commissione comunale consultiva per il paesaggio delineata nel vigente Codice per i Beni Culturali ed il Paesaggio. Forse si attende che venga perfezionato l’iter del ddl regionale 307 sul paesaggio. Ma lamentarne in anticipo ogni limitazione (reale o presunta) al proprio jus utendi et abutendi, è già l’ennesima (e ben poco necessaria) conferma del detto proverbiale che non c’è sordo peggiore di chi non vuole sentire.
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