Relazione presentata al

Convegno a ricordo del Prof Italo Currado

Asti, sabato, 22 luglio 2006

Salone della Società Mutuo Soccorso “Fratellanza Militari in Congedo”, Via Bonzanigo 46, h 9,00-13,00

Prof. Marco Galloni - Presidente dell'Archivio Scientifico e Tecnologico dell'Università di Torino

Prof. Marco Galloni

Presidente dell’Archivio Scientifico e Tecnologico dell’Università di Torino

 

      Il ricordo di Italo Currado mi accompagnerà di certo negli anni come la memoria di un uomo molto particolare, cui ero legato da tante affinità e che ha rappresentato per me un riferimento preciso per una vasta gamma di interessi, fra quelli da me più profondamente sentiti e vissuti. Proprio per questo nell’ultimo anno più e più volte mi sono detto: “questo devo dirlo (o mostrarlo) a Lillo”, ricordando solo dopo che questo non mi era più possibile. Non potrò più condividere la gioia di una scoperta di uno di quei dettagli che talvolta appaiono durante una ricerca storica e che rappresentano le vere soddisfazioni di chi frequenta le vecchie carte ed i vecchi oggetti.

       Ho cominciato a frequentare l’Istituto di Entomologia e Apicoltura fin dal mio ingresso in Università, nel 1975 presso la Facoltà di Medicina Veterinaria, perché per un morfologo la fotografia è un mezzo di studio fondamentale e, anche – ma non solo - da questo punto di vista, la scuola del prof. Carlo Vidano era certamente un riferimento ineludibile nell’intero Ateneo, da cui si potevano ricavare informazioni, consigli e suggerimenti utili per chi volesse utilizzare la macro- e la microfotografia al massimo delle possibilità. Il contatto diretto fu con Silvio Bizzarri, con cui ho collaborato per anni, creando le basi per una lunga amicizia, ma pian piano ebbi modo di conoscere altri membri dell’Istituto, tra cui il prof. Italo Currado, che aveva il grande pregio di occupare uno studio in fondo al corridoio da cui spuntavano cose per me affascinantissime: pile di vecchi libri, cataloghi di biblioteche antiquarie (un mondo che lui mi fece conoscere), oggetti strani che erano lo spunto per racconti densi di conoscenze e di citazioni precise, spesso interrotti dalla ricerca della pagina giusta in un volume che usciva dai grandi scaffali alle spalle della scrivania.

       Italo era dotato di un raffinato gusto e di una curiosità che erano alla base della costruzione di una cultura poliedrica, in cui avevano spazio entrambe le radici classiche – scientifica e umanistica – che, come Charles Percy Snow ci ha insegnato[1], sono tipicamente spesso in contrasto. Non vi è dubbio che padroneggiare i due campi implica necessariamente una riduzione di approfondimento assoluto nell’uno o nell’altro, ma è altrettanto vero che proprio la separazione fra i due saperi è lamentata come una causa di impoverimento culturale della nostra civiltà, che reca danni perché solo il dialogo e l’equilibrio fra le due culture può costituire la base di un armonico sviluppo del singolo e, soprattutto, della società. La prima occasione di incontro più diretto fra noi fu probabilmente il congresso di elicicoltura di Borgo San Dalmazzo del 1979, la cui organizzazione mi impegnava molto in quegli anni, e la simpatia, che sarebbe divenuta amicizia, nacque visitando un occasionale mercatino dell’antiquariato in cui facemmo quasi a gara nel riconoscere gli oggetti più strani ed insoliti. Credo di essermi guadagnato la sua stima individuando in un pezzetto di ferro arrugginito un cavapalle, strumento necessario per scaricare i fucili ad avancarica, tipicamente nel caso – non raro – in cui la carica non fosse esplosa con la percussione della capsula o della pietra focaja.

       La sua presenza a quel congresso era giustificata dalla disciplina da lui insegnata, la “Zoologia forestale”, che poteva comprendere a buon diritto anche i molluschi terrestri, e la sua curiosità lo aveva portato a cercare notizie in un campo che sentiva affine. Nell’anno successivo, nella stessa sede, portammo una relazione, scritta con il compianto prof. Antonio Ubertalle, relativa al riutilizzo nelle aree prealpine dismesse dall’agricoltura o dalla zootecnia grazie all’istituzione di territori protetti, individuati in biotopi con vocazione alla produzione di popolazioni di Polmonati. La scarsa efficienza che si andava evidenziando delle tecniche zoocolturali applicate ai molluschi terrestri, faceva sì che questo approccio rappresentasse una proposta rispettosa degli equilibri naturali e capace, al tempo stesso, di ottenere nel tempo un apprezzabile aumento della densità di popolazione delle specie eduli grazie alla soddisfazione delle loro esigenze vitali. Le vicende delle iniziative di Borgo San Dalmazzo impedirono che tale scritto vedesse la luce e così persi l’occasione di pubblicare un lavoro con Lillo.

       Un ruolo che Italo rivestiva con ovvia naturalezza era quello di direttore della biblioteca della sua Facoltà, doveroso omaggio a chi aveva con i libri un rapporto speciale, coltivato nella ricerca bibliografica implicita nel lavoro di zoologo sistematico, ma cresciuto con una quasi onnivora passione per le carte stampate, conscio della potenziale ricchezza nascosta fra le pagine di volumi, fascicoli, miscellanee. Da tale profondo interesse nasceva una cultura vastissima che gli permetteva infinite citazioni, ma fra tutte le preferite erano quelle da Pinocchio, libro ingiustamente ritenuto infantile, che rivela ad ogni lettura tesori di saggezza e di sottile, a volte caustica, ironia. Pur manifestando sempre uno stile di signorile classicità, dava spesso spazio a uno spirito sulfureo, che lo portava talora alla ricerca di testi sorprendenti e insoliti, e devo dire che fui stupito quando mi disse di aver acquistato, nel periodo trascorso all’Università di Milano, la rivista “Il delatore” i cui numeri monografici sono oggi oggetto di culto per gli argomenti trattati ma ancor più per la grande apertura intellettuale e per una carica di irriverente e spregiudicata provocazione.

       Altri parleranno di quell’altra grande passione di Lillo che è stata la numismatica, dalla quale non mi sono lasciato contagiare anche se avverto il fascino del contatto con quelle piccole testimonianze materiali di storia che sono monete e medaglie, per il loro simbolismo, per la suggestione di toccare quello che è stato maneggiato da uomini lontani nel tempo, per l’ammirevole sintesi di valori materiali e spirituali che qualcuno ha saputo trasfondere nel metallo. Anche per questo suo interesse ho motivo di gratitudine per Lillo perché mi diede la prima occasione di realizzare una piccola mostra di cimeli del parassitologo Edoardo Perroncito nel 1987, all’interno della mostra numismatica astigiana in cui fu presentata la medaglia commemorativa dello stesso Perroncito, alla cui realizzazione avevamo collaborato, visitando lo studio dello scultore Riccardo Cordero, valutando e discutendo gli abbozzi in creta. La breve monografia che, grazie al suo interessamento, potei pubblicare nelle pagine della rivista di storia astigiana “Il Platano” è rimasto il mio primo scritto di argomento storico[2], a cui ne sono seguiti forse troppi altri, che mi hanno fatto quasi cambiare mestiere, ma che hanno certamente soddisfatto una mia passione profonda per la cultura umanistica, facendomi in questo sentire sempre più vicino a Lillo, anche lui autore di pregevoli lavori su storia e arte.

       Devo ricordare che nella redazione di vari miei lavori di argomento storico Lillo più volte mi favorì trovandomi pubblicazioni da citare o mettendomi in contatto con esperti che mi furono preziosi soprattutto per vari aspetti della storia sanitaria astigiana. Con riferimento alla numismatica amata da Italo mi faccio portavoce di una proposta di Marco Albera che suggerisce di raccogliere adesioni per coniare una medaglia che commemori il nostro comune amico. Sono certo che Lillo sarebbe lieto e lusingato di questo pensiero, magari col suo profilo riprodotto in una elegante plaquette in bronzo, simile a quelle dedicate ad altri scienziati, che lui aveva raccolto.

       L’incrociarsi della sua passione per la numismatica con quella per la storia dell’Università ebbe come risultato la proposta da lui avanzata al rettore Dianzani di coniare una medaglia per gli studenti più meritevoli, riproducendone una di cui aveva rinvenuto il disegno in un’antica pubblicazione; quella iniziativa si ripropone ogni anno ed è divenuta una simpatica consuetudine del nostro Ateneo.

       Tornando ad aspetti più personali della nostra amicizia, devo ricordare come un evento divenuto per me classico i giri pre-natalizi nel centro di Torino, con visita a una serie di antiquari, soprattutto nella speranza di osservare antichi gioielli (una interesse che condivido anche perché probabilmente sono omozigote per l’oreficeria, avendo avuto congiunti che svolgevano questo mestiere sia nella famiglia paterna che in quella materna) o – meglio ancora – decorazioni di ordini cavallereschi, di cui Lillo era divenuto esperto collezionista. Ricordo in particolare quando gli segnalai nell’angolo di una vetrina in Via Amendola un elegante cofanetto pieno di croci smaltate, che divenne poi uno dei pezzi più significativi della sua raccolta. Queste decorazioni rappresentano un aspetto molto particolare nel più ampio mondo del collezionismo numismatico, anche perché talora costituiscono degli insiemi collegati a personaggi di un certo rilievo, di cui è possibile ricostruire la storia e legare perciò più valore ai cimeli. In uno di quei giri entrammo in una bottega di orologiaio antiquario in Via Maria Vittoria e, fra le chiacchiere scambiate con il curioso personaggio, entrammo in un oscuro locale interno in cui mi colpì una pendoletta da muro firmata “Tealdi a Turin” che è oggi in casa mia e anch’essa è per me un ricordo di Lillo.

        Personalmente prediligo il collezionismo e lo studio nel campo dell’antiquariato tecnologico e devo dire che Italo seguì con molto interesse la crescita dei miei interessi nel campo della storia degli strumenti scientifici e delle metodiche della ricerca scientifica, perciò fu partecipe giorno per giorno di quelle iniziative che, nella seconda metà degli anni ’80, cominciarono a portare all’attenzione dei colleghi universitari l’importanza della conservazione del patrimonio storico-scientifico del nostro Ateneo. Con lui questi discorsi trovavano sempre una entusiasta accoglienza, stimolavano il ricordo di occasioni di cui era stato testimone di distruzioni e dispersioni, cui, in qualche caso, aveva cercato di porre rimedio con l’iniziativa personale, come l’aver preso qualche antico libro di medicina dal cassone di un camion che svuotava sconsideratamente locali dismessi nella vicina Facoltà e destinati a una improvvisa trasformazione in nuovi laboratori. Lillo visse in gran parte accanto a me la realizzazione della mostra “Strumenti ritrovati” del 1991 e partecipò nell’anno successivo alla nascita dell’Archivio Scientifico e Tecnologico, fu la sua innata cortesia che lo trattenne dal reclamare il posto di rappresentante della sua Facoltà nel nostro consiglio scientifico, ruolo che avrebbe senz’altro meritato in virtù della sua cultura.

      Fra le sue inesauribili collezioni vi erano anche strumenti di misura antichi piemontesi che mi prestò per una mostra al Lingotto, mentre ancora una volta alla sua sensibilità attribuisco la conservazione di una foto del corridoio lasciato dagli istituti medici al momento della nascita della Facoltà di Agraria nel 1935, foto che abbiamo replicato insieme al momento dell’abbandono della Facoltà per la nuova sede di Grugliasco.  Gli ultimi anni videro purtroppo un diradarsi della nostra frequentazione, che per anni era stata scandita dall’appuntamento per il pranzo, quando la Facoltà di Agraria si trasferì, prima della mia, nel campus di Grugliasco. Al mio arrivo a Grugliasco riprendemmo le vecchie abitudini ma la passeggiata meridiana per le vie di San Salvario non era più possibile in una banale periferia che conserva scarsissime tracce del suo passato. Credo che passando per le vie semicentrali di quel quartiere ricorderò sempre le disquisizioni che nascevano dall’osservazione di un particolare architettonico, dalla scoperta di un negozio curioso o desueto. In questi giri spesso affiorava una delle caratteristiche più tipiche di Lillo, che era saper “attaccare bottone” in modo garbato, ma spesso con spirito salace, con le persone incontrate casualmente: ricordo le battute con il sacrestano del Sacro Cuore di Maria  o con gli addetti alla manutenzione delle alberate, per i quali era diventato un vecchio amico, capace di partire dalla mina in una foglia per spiegare in modo semplice un aspetto di biologia applicata, magari con qualche battuta in piemontese.

La frequentazione delle antiche carte, vizio che Lillo mi trasmise, mi ha fatto incontrare molte volte scritti in cui docenti universitari di altri tempi commemoravano i loro maestri, le parole usate spesso esprimevano affetto in termini quasi imbarazzanti per la nostra attuale sensibilità. Mi auguro però che le mie frasi, certamente più sobrie, non mascherino troppo la profondità del dolore che l’assenza di Italo rinnova spesso in me e il senso di vuoto per la mancanza di un uomo così speciale.



[1] Charles Percy Snow Le due culture. Milano, Feltrinelli, 1964. (edizione originale 1959)

[2] Marco Galloni Edoardo Perroncito (1847-1936). “Il Platano”, anno XII, 1987, pagg. 51-57.

 

*****