Relazione presentata al

Convegno a ricordo del Prof Italo Currado

Asti, sabato, 22 luglio 2006

Salone della Società Mutuo Soccorso “Fratellanza Militari in Congedo”, Via Bonzanigo 46, h 9,00-13,00

Prof. Emanuele Bruzzone - Università degli Studi di Torino

Prof. Emanuele Bruzzone

Università degli Studi di Torino

La chiacchiera in treno, troppo spesso assimilata a quella “da Bar Sport o da “Café du Commerce”, come dicono i francesi , non gode di molta considerazione, anzi, negli schemi mentali dei cosiddetti intellettuali, specie di quelli che non abbiano sperimentato l’obbligo, ma anche le connesse potenzialità di comunicazione della condizione di pendolare. Il mio amico Lillo non era certamente tra questi: gli si leggeva al contrario benissimo negli occhi quanto si trovasse a suo agio nel ruolo di pendolare mattutino attivo (diverso da quello lettore isolato di quotidiani o dal perennemente sonnecchiante!!) tra Asti e Porta Nuova.  Conversatore e interlocutore attento a tutti coloro con cui si trovava in più o meno scelta compresenza: sui sedili ancora di legno delle carrozze già di Terza classe, poi riciclate a Seconda, , dette scherzosamente “quelle(ancora) di Cavour”, come nelle vetture più moderne , ma non necessariamente confortevoli, con i loro scompartimenti da sei .

Un po’ già conoscevo Lillo da prima, ma il consolidarsi arricchente per me dei rapporti con lui è indissolubilmente legato proprio a quella condivisa esperienza di “ microcosmo ferroviario” quasi quotidiano. Durata tre decenni , ad iniziare dall’autunno del 1967: in quell’anno Lillo iniziava a fare l’entomologo universitario ad Agraria di Torino e io la matricola di Scienze Politiche nei mesi del precoce Sessantotto subalpino. Appartenenti a generazioni diverse , ma con qualche radice comune in quel filo ininterrotto di associazionismo giovanile astigiano innovativo ruotante intorno a Don Sigliano (da lui lo sentii chiamare per la prima volta -ne era stato anche l’inventore??- con l’affettuoso appellativo: “Lillo baboia”, sintesi della curiosità e della passione scientifica di tutta una vita!!): dunque entusiasmi un po’ velleitari a confronto , ovviamente anche in scontro, con sensibilità più rodate e mature, ma, nel caso di Lillo , nonostante l’apparenza di gentiluomo conservatore, altrettanto anticonformiste. Allora ci raccontava di aver fatto, da studente dello Scientifico, la sua prima manifestazione, per “Trieste italiana”; poi, ventenne, contro l’invasione dell’Ungheria e conservava, insieme a preziosi gadgets di propaganda democristiana (grande raccoglitore e conoscitore di “anticaglie novecentesche”, non solo di monete e “militaria” com’era..)anche il ricordo di qualche infantile , fatto che dava meno nell’occhio, attacchinaggio di manifesti nel fatidico aprile 1948. E così provocava, senza supponenza né paternalismo, la capacità di argomentare del sottoscritto in viaggio verso un assemblea di pacifismo studentesco anti imperialismo USA in Vietnam o di Gianmaria Vergano tutto lanciato in analisi tratte dall’unica copia circolante ad Asti di “Le Monde” che ci facevamo arrivare all’edicola della Stazione per arrivare a Torino un po’ documentati . Mentre Bruno , cugino di Gianmaria e g rande amico di Lillo, più laicamente, senza partigianeria (scatenata invece quando ci parlava di arte: un Gandolfino lasciato in cantina o qualche misfatto della Sovrintendenza..) tentava mediazioni da avvocato in erba qual’era. Poi, all’altezza di Villanova, il clima dello scompartimento si distendeva, punteggiato dalle straordinarie battute, in dialetto urbano doc, evocatrici di “tranches de vie” astigiane di Angelo Scarsella: l’amico consolatore e rallegratore di intere generazioni di studenti pendolari, una vera e propria “istituzione”, naturale leader animatore delle nostre mattine di avvicinamento a Torino.. In altra chiave, altrettanto gustosa e combinata con colti riferimenti , Lillo esercitava una sua “pedagogia dell’astigianità” quella autentica, non provincialoide.

      Poteva trattarsi via via del contesto storico-mercantile di una moneta; di un modo di dire proverbiale: da lui imparai che l’espressione astigiana “Cul lì è propi togo” , accompagnata dalla mimica allusiva ai grandi baffi, era sorta sull’onda della fama mondiale del sempre vincente Ammiraglio Heihachiro Togo protagonista nel 1904-5 della guerra russo-giapponese; di una vecchia mappa disseppellita dagli scartafacci di un piccolo Comune o scoperta su qualche bancarella torinese. Pensandoci adesso mi accorgo di quanto l’insieme di questi suoi oggetti di memoria amabilmente comunicati abbiano rappresentato per me, oltre che un patrimonio di informazioni e stimoli che ha contribuito a nutrire il mio interesse per la storia locale, anche una lezione di stile. In un duplice senso che voglio qui richiamare.

      L’uno, per così dire “epistemologico”: per il gusto, l’attenzione al dettaglio come precondizione indispensabile per saper risalire induttivamente: ad esempio all’evoluzione di una storia urbana, di un territorio o, osservando una zampina di insetto o l’apparato sottostante la voracità predatoria di uno scoiattolo, ad una catena filogenetica del passato o alle dominanze selettive di una variante odierna. Mi concedo questo accenno di “ altrui mestiere “ disciplinare per sottolineare, nel dato biografico e intellettuale di Lillo, questa riuscita attitudine a combinare la sua curiosità che lo faceva spaziare tra interessi differenti e l’ancoraggio all’osservazione.

          Un altro suo punto fermo fondamentale era la passione per le vecchie carte stampate. Innanzitutto il libro, antico o novecentesco che fosse (quanti cataloghi di librerie antiquarie e “dritte” da habitués di bancarelle e mercatini ci siamo scambiati viaggiando!!): non tanto le edizioni di pregio di cui era comunque estimatore, quando lo fossero davvero, mentre si scagliava contro una buona fetta delle tuttora imperversanti operazioni editorialbancarie , ma il libro come risorsa cui attingere personalmente e come bene culturale da promuovere e salvaguardare. Non a caso, nel suo settore di studi, fu per vent’anni fu Direttore della Biblioteca di Agraria; mentre, nel campo delle “humanities” astigiane e piemontesi, fu sempre frequentatore e prodigo di consigli e ...di doni alla Consorziale di Asti . Il dono più bello in quest’ambito che Lillo ha fatto alla sua Città sta nella sua pluriennale competentissima collaborazione agli studi e alle mostre astigiane della compianta , qui da noi un bel po’ dimenticata, studiosa, e libraia antiquaria, torinese Ada Peyrot . Autrice, insieme a lui, di quel volume , con Premessa di Luigi Firpo, Asti e l’Astigiano edito nel 1987 dalla sua Tipografia Editrice Torinese. Il Lillo della un po’ “pistina” accuratezza che tutti gli riconoscevamo ne ricordava con orgoglio la minuziosa, precisissima e dunque lunga gestazione editoriale per produrre quel testo di storia locale visiva, basato su un’amplissima gamma di fonti iconografiche, che, vent’anni dopo, resta insuperato tanto più se si pensa ai non pochi mediocri esempi di pubblicazioni improvvisate o feudalcommerciali che gli sono succeduti.

        E così arriviamo alla seconda valenza della lezione di stile di Lillo: la sua etica molto antiaccademica che lo faceva condividere conoscenze e stimolare interessi, invece di tesaurizzare titoli e prebende a Torino come ad Asti. Per esempio nel seminare coscienza ambientalista “ante-litteram”: proprio da lui, che faticosamente proponeva alla Provincia di attivarne l’esperienza, sentii, sempre in treno per la prima volta, trent’anni fa, l’espressione “guardia ecologica volontaria” mentre illustrava le sue testarde e fruttuose cacce , di buon passo, agli infiniti discaricatori abusivi. Preistoria etica a confrontarla con oggi , allorchè tutti si risciacquano la bocca di “dentifiricio” verde con sorrisi di valorizzazione del territorio per mimetizzare dentature affamate di business verniciato di sostenibilità ambientale. Credo di aver spiegato perché ho stimato Lillo. Permettetemi ancora, per concludere, di trasmettervi un ricordo e un sogno che entrambi hanno a che fare con etica e scienza.

          Il primo: la felicità di Lillo quando , alla Stazione, metà anni ’90, gli comunicai , con un’ironica battuta che alludeva ad un ancestrale timore degli astigiani riservati , che: “Tuo padre ieri è andato a finire sui giornali. Pensa, poi, su ‘L’Unità!! “ Perplessità, poi inevitabile compiacimento: si trattava infatti di un articolo di Nando Dalla Chiesa che si riferiva all’esemplare intervento anti-compari politicanti di Tangentopoli pronunciato dal “novantenne indignatissimo pediatra” Carlo Currado durante un incontro sulla questione morale tenutosi ad Asti. E il figlio del Generale non poteva sapere quanta esperienza di servitore, da medico e da pubblico amministratore, dei propri concittadini avesse alimentatole sue sbottanti parole. Ecco l’imprinting di moralità civile trasmesso a Lillo.

          Il mio sogno ha un’ambientazione e anche un coprotagonista. Sono convinto che, in un Paradiso affollato anche di già viventi non umani come sostiene da tempo Paolo Debenedetti non rassegnato alle ingiuste sofferenze patite in terra dagli animali, Lillo saltabecchi dalla compagnia degli scoiattoli, delle “baboie” e delle marmotte germanofone con le quali si intenderà benissimo a quella di un grande amico, ignoro se lo conobbe in vita, che mi piace associargli. Mario Sturani, il vitale e creativo amico dello sfortunato Pavese: naturalista, pittore e designer oltre che genero del conterraneo Augusto Monti. Insieme stanno facendo, ne sono sicuro, la loro non violenta Caccia grossa tra le erbe (Torino, Einaudi, 1941) eternamente abbondanti lassù, come la praticarono quaggiù tra Sangone e Tanaro.

 

*****