PRIMUM NON NOCERE

 

Dott. Marco Devecchi

Presidente dell'Osservatorio del Paesaggio per il Monferrato e l'Astigiano

 
Ciascun paesaggio è unico e storicamente irripetibile: veduta di paesaggi "astigiani" d’Oltreoceano (Asti - California USA).

Ciascun paesaggio è unico e storicamente irripetibile: veduta di paesaggi “astigiani” d’Oltreoceano (Asti – California USA).

               Traslando il famoso motto ippocratico Primum non nocere dall’ambito medico a quello della pianificazione del paesaggio risultano evidenti non poche ed interessanti analogie concettuali.

Lo sviluppo economico di un territorio comporta spesso la necessità di scelte potenzialmente dannose per la conservazione dei lineamenti più tipici del paesaggio locale. Questo fatto appare particolarmente vero, soprattutto nella realtà piemontese, dove i diversi paesaggi sono il frutto di un singolare incontro tra uomo e natura, tra la cultura di ogni comunità e le fattezze fisiche di ciascun territorio. Si tratta, in altri termini, di sistemi territoriali complessi e quanto mai delicati, in cui le componenti naturali ed antropiche hanno nel tempo dato vita ad insiemi ricchi di valenze e di significati. In questo quadro, l’importante principio medico di anteporre, nelle scelte terapeutiche, l’imperativo di evitare in primo luogo un danno al paziente può risultare straordinariamente attuale e valido anche nella gestione dei paesaggi. Ciò sta a significare che tra opzioni e trattamenti analoghi vadano sempre privilegiati quelli meno suscettibili di effetti negativi e, nell’eventualità di possibili danni irrimediabili, che nessuna “terapia” o trasformazione venga addirittura intrapresa. Questa posizione classica dell'etica medica può essere ricondotta anche ad una accorta e previdente conservazione del paesaggio.  Esistono ovviamente situazioni limite, in cui tale principio si presta ad essere derogato, in quanto foriero di un immobilismo potenzialmente dannoso al territorio stesso. Si pensi, ad esempio, ad iniziative urgenti di messa in sicurezza di fiumi o al consolidamento di aree soggette a fenomeni vari di dissesto, così come, in talune situazioni, all’inserimento indifferibile di nuove infrastrutture. Tali opere, caratterizzate per lo più da un impatto non trascurabile, porteranno con sé probabilmente - o addirittura con certezza - esiti negativi, anche nel lungo periodo, sul paesaggio. Che fare, quindi? Certamente in questi casi vale il principio primum adiuvare, cioè per prima cosa operare per contribuire a risolvere il problema incombente. Questa seconda posizione (esporre il paesaggio ad un rischio elevato di snaturamento per evitare un danno imminente o addirittura certo alle diverse componenti di un territorio) risulta facile da comprendere e anche da condividere, ma pone la necessità di un consenso sociale, cioè l’esigenza di un coinvolgimento e di una informazione ampia e completa della popolazione sui rischi e sui  benefici delle soluzioni possibili, chiedendone l’approvazione. Il difficile equilibrio tra continuità ed innovazione si giocherà sempre più sulla capacità di coniugare elementi storico-culturali, progettualità territoriale e pianificazione paesistica, con il preciso intento di riconoscere ed escludere le trasformazioni intrinsecamente dannose al paesaggio e, quindi, in ultima analisi, alla collettività per le generazioni a venire.

Comprendere le trasformazioni del paesaggio, percependo con occhio clinico i punti di sofferenza, appare sicuramente un dovere per la società attuale: soltanto così potranno essere evitati interventi che stravolgano i caratteri peculiari e le vocazioni di ciascun territorio con particolare riferimento a quelli di maggior pregio, come in primis l’Astigiano.

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