Dario Rei - Docente di Politica sociale presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell'Università degli Studi di Torino.
Intersezione stradale tradizionale con aiuole prive di sistemazione a verde e di scarso valore paesaggistico (Corso Casale – Asti).
Le rotonde stradali, ci ricorda lo storico dell’urbanistica Joseph Rykwert, furono immaginate per paesaggi urbani a elevata densità di attraversamento. La formula delle rondes giratoires è stata inventata nel 1906 dall’architetto francese Eugène Hénard, che pensava ad isole franche “per le strade urbane molto trafficate”: spazi da attraversare e non da vivere, non-luoghi, si direbbe oggi con Marc Augé.
Da qualche anno le rotonde sono una accettata merce di importazione, che ha preso a diffondersi con velocità nei nostri contesti urbani ed extraurbani. Se ne fa ampio utilizzo per finalità viabilistiche, sia in sostituzione dei semafori o per non introdurli, sia là dove in precedenza si sarebbe fatto ricorso a soluzioni più semplici, come la diversificazione della segnaletica o l’ adeguamento del tracciato (che ancora si vede in taluni imbocchi di autostrade). Se le rotonde hanno- si dice- lo scopo di fluidificare il traffico, è un fatto che esse rallentano la circolazione, con indubbio beneficio nei punti critici. Stando al manuale pubblicato dalla Associazione famigliari vittime della strada- non è però che in tali punti l’incidentalità sia minore.
Insomma, esistono controversie tecniche sulle ragioni strettamente funzionali che rendano opportuno introdurre rotonde. E nella valutazione complessiva- politica ed amministrativa- dell’ intervento dovrebbero entrare anche altri elementi di merito : se si dia proporzionalità adeguata fra dimensione, tracciato, contesto; quale sia il livello dell’ impegno effettivamente richiesto per la realizzazione; quale la sobrietà necessaria nei costi e nei manufatti; quale l’ impatto visuale ( ampiezze mostruose sono qua e là ben osservabili sul territorio).
L’opinione più singolare, che tende a farsi moda dilagante, presenta le rotonde come originali soluzioni di assetto territoriale, se non addirittura come elementi di un nuovo stile paesaggistico. Fantasiose retoriche di circostanza non difettano mai in accompagnamento agli spropositi: “anche i Roero di Cortanze avevano nel loro stemma la ruota!”. Si accresce il rischio di trovare rotonde sparse dappertutto, a “migliorare” tranquilli paesaggi di collina, “velocizzare ” strade sul crinali, incapsulare chiese e edifici di interesse storico posti in posizioni sbagliate, per favorire attraversamenti a scavalco nei paesi, e così via girando. Segue un campionario di pseudoproblemi e pseudoprogetti: cosa metterci al centro, lampioni, obelischi, statue votive ? che foggia artistica dare ai cartelloni pubblicitari ? come farne degli ingressi simbolici a uso turistico? In che modo coltivarle? Sulle aiuole centrali “a forma di ruota di mulino o addirittura di supposta” ironizza amabilmente Paolo Pejrone, grande esperto di giardini.
E’ evidente che riqualificare paesisticamente il nulla è operazione non priva di qualche difficoltà. Tuttavia, ricordando la legge di Gresham sulla moneta cattiva che scaccia quella buona, converrebbe provare a riportare la moda a più miti consigli, ed alle giuste proporzioni. Certo molti ancora ricordano la canzone dei primi anni Sessanta, che sussurrava, alle coppie in vena romantica, di approfittare del fascino della rotonda. Ma stando sul mare…
*****