Turismo e territorio rurale: quale valorizzazione?
Si faccia avanti la filosofia del "buta a post"
Dario Rei - Docente di Politica sociale presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell'Università degli Studi di Torino.
Nuovi vigneti realizzati da aziende ancora operative sul territorio astigiano
Vista in un quadro di valori ambientali autentici, la promozione del turismo richiede particolare attenzione. Se si decide che il turismo è una risorsa anche economica, occorre coerenza: chi fa mostra di volersi battere per turismo di qualità dovrà avere altrettanta determinazione per impedire, nei luoghi del transito e dell’ accoglienza turistica stessa, l’espandersi infrastrutture distruttive degli equilibri percettivi e di qualità ambientali. Se, per arrivare in posti belli, bisogna scontare un safari penitenziale di attraversamento in transiti indecenti, pochi saranno attirati poi a ritornarci.
Intendo dire che il turismo in ambiente rurale richiede rispetto del paesaggio rurale. Paesaggio che non è fatto di emergenze straordinarie, dotate di un’aura speciale: è un continuo tranquillo, di normale semplicità, una valletta, una collina bassa, un corso d’acqua, un sito di flora locale, un’emergenza naturale, un bosco di specie nobili, tracce del lavoro umano del passato, luoghi di ricreazione serenità svago per persone di oggi. Tutto questo merita di essere riconosciuto, conservato, rispettato.
Il Piano territoriale della provincia di Asti, approvato dalla Regione Piemonte nell’ottobre del 2004, ha conferito all’Alto Astigiano un meritato riconoscimento dei suoi elevati valori ambientali. Ma il riconoscimento richiede poi una tutela effettiva e gestita delle qualità dei luoghi, senza la quale si possono avere esiti contraddittori. Già è dato osservare un aumento di soggetti invasori, attratti dal curioso passaparola "tutti a Muscandia, che lì c’è ancora natura da distruggere”. L’agitata minaccia di vincoli – per altro inesistenti – ha aperto la via a interventi di impatto industriale nel taglio dei boschi mai visti prima. Se questo è l’esito inatteso della tutela, meglio farne a meno. Il fatto è che in piccole aree collinari come le nostre, pochi microspostamenti negativi sono sufficienti per amplificare esiti di grossolana modificazione.
Una pretesa saggezza popolare obietta che “ far qualcosa è sempre meglio che non fare niente” . Questa sciocchezza non ha nulla del buon senso, che consiglia di pensarci bene , prima di far danno: non ci si comporta così nella questione Ogm? Limitiamoci dunque ad un intervento correttivo, se lo scopo è davvero quello di rendere più agevole uno scorrimento veicolare in pianura; puntiamo ad un restauro ben fatto, se il problema è di preservare un segno o la memoria di un luogo da trasmettere alle future generazioni. Il nostro motto potrebbe essere: buta a post, rimetti a posto. Una cosa che non è a posto, che “ sta male”, non fa bella figura, fa star male chi la vede, allontana chi la frequenta. Non giova ai residenti, non serve ai turisti. Tra un fare che disordina ed un fare che riordina, non sembra incerta la scelta da compiere.
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