Progetto di una rete ecologica
Vittorio Fiore
Architetto del paesaggio
Come mai le notti nelle nostre campagne sono diventate così silenziose senza la compagnia degli uccelli notturni? O almeno questo è quello che ho notato quest’anno a Castagnole delle Lanze
Soltanto pochi anni fa ho potuto descrivere per un giornalino locale i canti dei nostri compagni notturni, rintracciabili durante le notti castagnolesi e ricordo di avere segnalato ancora la presenza dell’assiolo, la civetta, il pettirosso, il merlo. Oggi non più. Le nostre campagne si sono trasformate in un immenso cimitero, immerso in un silenzio assordante.
Come è potuto succedere tutto questo nel completo disinteresse generale? Io qualche idea ce l’avrei.
Intanto sono scomparsi e continuano a essere trasformati in vigne, gli ultimi valloni boscati, residui di toponimi denominati “Boschi” “Rivella” o “Badia”; gli stessi corsi d’acqua, da sempre vere e proprie riserve naturali lineari, sono ridotti a banali canali senza vegetazione e vita, ma quello che più preoccupa è che è stata normalizzata una disposizione nazionale che impone la lotta obbligatoria all’insetto vettore del micoplasma della flavescenza dorata, che si traduce in un doppio trattamento annuale alle viti con insetticidi specifici, senza verificarne la presenza. Cosicché scompare anche la coltivazione tradizionale della vite, quando per i trattamenti si parlava al massimo di poltiglia bordolese e verderame, oggi quasi una sorta di lotta biologica.
Pare ormai evidente che l’azione combinata di queste azioni negative sull’ambiente naturale stia producendo una progressiva desertificazione delle nostre campagne, con la distruzione di ogni vita animale e che bisogna correre urgentemente ai ripari se crediamo ancora nel motto dell’Osservatorio del Paesaggio, che recita:”Il paesaggio non l'abbiamo ricevuto in eredità dai padri, ma in prestito dai nostri figli”. E quello lasciatoci dai padri era ancora integro, mentre i nostri figli avranno una ben magra e triste eredità, se continuiamo di questo passo.
Ma cosa si può fare?
Una soluzione è, a mio parere, quella di pianificare la struttura ecologica del territorio, con progetti specifici, derivati da metodologie scientifiche di programmazione, già sperimentate con successo in altre realtà del norditalia.
Si tratta di progettare una rete ecologica, estesa almeno alla provincia di Asti, meglio se in collaborazione con Cuneo ed Alessandria, come è stato già fatto per il PRUSST, che colleghi tra di loro le poche aree naturali residue o rinaturate, attraverso i cosiddetti corridoi biologici, con una sorta di programmazione territoriale, finalizzata ad un riequilibrio ecologico di tipo attivo.
Le strutture di collegamento, i cosiddetti corridoi biologici, saranno costituiti da tutti i corsi d’acqua naturali e/o rivegetati, le strade campestri non asfaltate, con fossi rinverditi, le siepi campestri, che da sempre dividevano i coltivi, caratterizzando il paesaggio rurale. Sulla loro importanza biologica e per il miglioramento dell’agricoltura tradizionale si potrebbero scrivere dei libri.
Si dovranno poi difendere con i denti le pochissime aree boscate ancora presenti tra i moscati, le barbere ed i dolcetti, studiando eventualmente una sorta di compensazione economica ai proprietari, in considerazione della loro importanza ambientale.
Dovranno essere le Amministrazioni Provinciali, attraverso le Comunità collinari, a farsi carico di tali studi, i quali, redatti da equipe di esperti pluridisciplinari, attraverso analisi preventive della situazione ecosistemica, dovranno suggerire delle indicazioni progettuali specifiche di reti ecologiche finalizzate al miglioramento ambientale, al fine di lasciare ai nostri figli un altro paesaggio naturale, migliore e più vitale dell’attuale.
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