Per una pianificazione attenta al paesaggio.
Arch. Maria Augusta Mazzarolli
Mai come in questo periodo il paesaggio, inteso come insieme di elementi che caratterizzano un territorio di qualità, costituisce la premessa per il suo sviluppo economico.
Mai come in questo periodo, di fronte a dichiarazioni di tanta esplicita sensibilità per i problemi di natura ambientale, assistiamo all’ attuarsi di trasformazioni: piccole o grandi, striscianti o eclatanti, molte delle quali dagli effetti spesso irreversibili e devastanti.
E’ risaputo che i territori di ”qualità” diventano occasione di investimenti, di ricchezza,di sviluppo, ma allo stesso tempo non si riesce a disciplinare l’ onda delle costruzioni che, in virtù di un diverso tipo di sviluppo economico, hanno recentemente interessato o stanno interessando i nostri territori. Naturalmente non tutti gli interventi di nuovo impianto devono essere demonizzati, non tutti gli interventi devono essere di recupero, è consentita anche l’innovazione, ma l’ innovazione deve essere calibrata e valutata tenendo presente che, in un quadro generale di estrema fragilità, anche il più piccolo intervento, stonato con il contesto circostante, può irrimediabilmente danneggiare un intero territorio. Valutare le conseguenze di un intervento edilizio parrebbe cosa facile. E’ il Piano Regolatore il primo strumento che deve calibrare gli interventi. Lo Strumento Pianificatore Generale si traduce in un insieme di norme e di cartografie. Importante (giustamente) è rispettare le leggi di riferimento, leggi sempre più complesse e correlate tra di loro (urbanistiche, idro-geologiche, igieniche, sul rumore, sull’inquinamento eletromagnetico…). Apparentemente meno importante é capire la portata dell’applicazione della norma, capire, con simulazioni progettuali, la traduzione della stessa norma correlata con le trasformazioni ammesse sul territorio.
Le pratiche di valutazione di “impatto ambientale”, quando per legge richieste, si traducono, molte volte, in sterili procedure burocratiche o, nel migliore dei casi, in verifiche alla rovescia: ovvero, una volta progettato l’intervento, si ricerca la giustificazione dello stesso alla luce di dichiarati principi progettuali o di interpretazioni legislative, a prescindere dai reali impatti che esse producono. Recentemente, a livello di pianificazione urbanistica, le verifiche ambientali si sono fatte più attente e le valutazioni di natura ambientale devono tradursi in prescrizioni di Piano. Nel caso specifico, facendo riferimento al nostro territorio, vengono riconosciute , per direttive di pianificazione regionale e provinciale, le aree colturali a forte dominanza paesistica. Attraverso tali direttive vengono tutelati i paesaggi caratterizzati dalla presenza della coltivazione della vite, paesaggi da tramandare, con visuali panoramiche da non alterare. Esiste, in sintesi, un “contesto normativo quadro ” all’ interno del quale il pianificatore locale deve adeguarsi. Le trasformazioni finali, che discendono dall’ applicazione di una così organica e rigorosa normativa, non dovrebbero far altro che dimostrare la propria coerenza con le direttive enunciate a livello regionale, provinciale, comunale, ovvero ai principi di una corretta disciplina dei valori ambientali, definiti da tutelare e da tramandare. Invece , in alcuni casi, capita l’esatto contrario.
Un esempio sotto gli occhi di tutti è quanto si è verificato lungo strade di forte matrice paesaggistica, alcune delle quali definite “Strade dei vini”. Tali strade, assi di comunicazione all’ interno di aree culla della produzione più nobile e famosa delle nostre terre, la vite, il cui prodotto, il vino, ha dato alla città di Asti un marchio famoso nel mondo, l’“Asti Spumante”, si sono, in alcuni casi, trasformate in “strade di capannoni”. Percorrendo le tanto pubblicizzate strade, indirizzati da segnaletica già presente nelle autostrade di adduzione da terre straniere, capita di non riuscire più a percepire il paesaggio circostante e le caratteristiche del territorio, per la conoscenza delle quali il turista ha intrapreso il viaggio. Infatti l’ addensarsi massiccio di attività lungo le strade e l’utilizzo di tipologie edilizie, spesso non conformi alla tipicità e fragilità del paesaggio in cui vengono inserite, può far sorgere il dubbio, a un turista disattento, di avere smarrito la strada e di non trovarsi tra le ubertose colline del Monferrato, ma in qualche landa di una trafficatissima e congestionata zona industriale, in cui l’ elemento tipizzante è, appunto, il capannone industriale.
Mi è stato raccontato che un “futurologo”, professore in un’importantissima Università americana, percorrendo una delle sopra citate strade, compiaciuto della rinata sensibilità italiana per i valori dell’ambiente, abbia sentenziato, con specifico riferimento allo sviluppo attuale e futuro delle nostre terre legato al turismo, al loisir, alla storia, all’arte e più in generale, alla cultura: “queste costruzioni degli anni ’60- ’70 devono essere demolite”. Fortunatamente (per noi che li abbiamo costruiti o lasciati costruire recentemente), non si era accorto che, alcuni dei tanto vituperati capannoni, non erano ancora, neanche terminati.
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