C O N V E G N O  I N T E R N A Z I O N A L E

"Il Paesaggio: la forma della cultura"

Asti - 22 e 23 maggio 2004 - Teatro Alfieri 

Dott. Paolo Debernardi (Storico ed etnografo del Paesaggio) - Relazione su "Ager: un percorso possibile per la protezione dei paesaggi bioculturali: dal locale al globale per una nuova ruralità"

Dott. Paolo Debernardi - Storico ed etnografo del Paesaggio

paolo.debe@infinito.it

Sito e forum di discussione AGER in : www.wesen.it

 

 

RELAZIONE

Ager: un percorso possibile per la protezione dei paesaggi bioculturali: dal locale al globale per una nuova ruralità.

  - Sono felice di presentare ad Asti, in questo convegno, una delle prime comunicazioni pubbliche sulle attività di AGER, Agenzia Internazionale per la Protezione dei paesaggi Bioculturali, a contributo concettuale e operativo per porre una nuova ruralità, i suoi paesaggi e le bioregioni a cui essi appartengono, al centro di un nuovo progetto internazionale di sostenibilità e sviluppo.

- Espongo alcune sintetiche premesse concettuali per cercare di spiegare quale è stata la riflessione che ci ha condotto alla proposta di AGER da una antica e sempre affermata vicinanza con il mondo contadino e con le sensibilità che esso esprime

- Anche perché la definizione di paesaggio come “forma di cultura” può avviarci sul lungo percorso, ancora da compiere in alcune società, pesantemente influenzate da religioni trascendentali, per una visione ed una riflessione, laica e non antropocentrica, in cui le modalità mediante le quali la specie umana interagisce con l’ambiente e con le sue manifestazioni differentemente percepibili come il “paesaggio” od i “paesaggi”, dovrebbero essere non prevaricanti o totalizzanti, nei limiti delle umane possibilità, con le altre forme di “cultura” e quindi di paesaggio come forma, globalmente intesa, dell’ambiente e delle diverse comunità biotiche.

- Mi riferisco alle specifiche manifestazioni visibili e comunicanti delle altre specie, quali quelle degli alberi nei boschi, delle erbe nei prati, delle api negli alveari, dei mammiferi transumanti nelle savane, delle specie ornitiche nei pressi dei fiumi, rispettandone il più possibile l’esistenza, gli spazi e le loro manifestazioni; anch’esse vivono e contribuiscono alla formazione di quei “paesaggi” quelli che consideriamo esclusivamente come i “nostri” paesaggi.

- Queste specie contribuiscono, come la nostra, con le loro vite e le loro essenze individuali, con le loro millenarie  dinamiche evolutive, alla creazione di quella forma dell’ambiente che è il paesaggio, specchio, sovente incrinato o non più riflettente, dell’equilibrio tra i diversi ecosistemi

- Come piccola nota mi permetto di ricordare che anche le componenti abiotiche vanno considerate e rispettate, nelle loro manifestazioni paesistiche, con meno leggerezza e superficialità, particolarmente quando è il lento trascorrere dei tempi biologici che ha prodotto, anche in relazione alla presenza delle condizioni biotiche, non solo delicati equilibri geologici, statici ed idraulici, seppur sempre in lenta ed inesorabile mutazione, ma anche paesaggi  e geotopi che sovente  vengono maggiormente rispettati proprio all’interno degli areali dei c.d. paesaggi bioculturali di cui illustreremo nel prosieguo le peculiarità.

-   La mancata consapevolezza di questi aspetti che concernono in particolare un maggiore rispetto etico, anche in caso di utilizzo e di prelievo, di ogni singola entità naturale, il mancato rispetto dei suoi siti, il mancato rispetto dei tempi biologici di evoluzione, al di là della specifica ricchezza in termini di biodiversità, il mancato rispetto degli spazi prossemici fra specie, il mancato rispetto dei comportamenti etologici, produce o l’”atopia” o la sovrabbondanza confusiva dei “segni” delle nostre città, delle nostre conurbazioni che concentrano milioni di esseri umani nelle condizioni che ben conosciamo, producendo la disarmonia delle città diffuse del mondo, gli impatti quasi mai considerati delle connesse reti energetiche e di trasporto che frammentano ed insularizzano le diverse comunità biotiche ed il correlato impatto banalizzante delle agricolture intensive

-   Non si salveranno le città del mondo ed i loro abitanti se non si considerano “invarianti” non contrattabili gli spazi rurali  maggiormente strategici, se non viene posta la ruralità e la rivoluzione della ruralità sostenibile  con i suoi valori al centro dei processi mondiali di sviluppo

-  Alcuni ambiti, miracolosamente pervenuti sino a noi, possono essere definiti veri e propri “paesaggi bioculturali” da riproporre e diffondere come centri di un nuovo sviluppo mondiale basato su una nuova alleanza tra specie.

- Questi ambiti sono stati plasmati nel corso dei millenni, prima dell’industrializzazione dell’agricoltura; apparentemente essi non sono più consoni all’economia agricola dei grandi numeri ne’ alle dimensioni aziendali auspicate dalle esigenze dei mercati globalizzati ma le loro strutture e la loro organizzazione degli spazi, con le loro pratiche agronomiche di estrema attualità e modernità, possono essere attualizzate e riproposte per rigenerare e restituire qualità ambientale al territorio, identità alle popolazioni e sapori alle produzioni quale unica via per coniugare tutela della sostenibilità agroecosistemica  alla protezione dei paesaggi e delle comunità

-  Infatti molti paesaggi bioculturali sono un esempio di equilibrio realistico e di sostenibilità, perché in essi sono presenti sullo stesso territorio e fusi inestricabilmente con modalità che non si prestano facilmente ai giochi fuorvianti della quantificazione pianificatoria decontestualizzata, con particolare riferimento alla non-considerazione dei fattori temporali nell’evoluzione delle componenti biotiche, alcuni non secondari aspetti e cioè : 1) particolari dimensioni della proprietà, sia individuale che comunitaria 2) presenza, in molti casi, di parcellari fondiari connessi a trame idriche, vegetali e litiche, 3) presenza di risorse genetiche, razze animali o “cultivar” vegetali lentamente evolutesi nei millenni in specifiche bioregioni, 4) peculiari condizioni geomorfologiche e climatiche, 5) compresenza, in alcuni casi, nei pressi delle aree coltive di mosaici di ambiti naturali  e/o naturaliformi , 6) in altri casi la costruzione artificiale con mezzi semplici e locali, di terrazzamenti e substrati per i coltivi, come adattamento alle diverse condizioni climatiche, di pendenza, di eccesso di umidità o di aridità              

-  Molti di questi ambiti considerabili come paesaggi bioculturali sono ancora fortunosamente presenti in Italia e nelle sue regioni, mentre, a livello internazionale, si possono innescare fenomeni e culture che unitamente alle diverse forme del commercio equo e solidale dei prodotti agricoli, al fronte sempre più consistente dei produttori biologici, facciano di questi ambiti l’attestamento internazionale che pone la ruralità e le comunità di produttori, al centro di una nuova alleanza, anche fra specie  e che faccia della rete di bio-regioni sostenibili la nuova dimensione dello sviluppo e della decrescita volontaria per vivere con meno ma meglio, affermando con forza i concetti della decrescita come scelta di semplicità volontaria e di gioia di vita.

-   Tutto ciò, senza esportare i pericolosi modelli dei nostri deserti maisicoli, risicoli e viticoli che sono espressione diretta delle esigenze sempre crescenti delle megalopoli e del modello  urbanocentrico

-   Ma non solo: negli equilibri dinamici dei tempi biologici quali essi si manifestano nei “paesaggi bioculturali” si intravede quella porta  del giardino sinora inesplorata in cui il paesaggio bioculturale diventa manifestazione etologica e visibile e quindi “culturale” nel senso più ampio, di comunità di specie diverse, direttamente in relazione alle condizioni abiotiche e climatiche in cui esse interagiscono, per cui “paesaggi bioculturali” vecchi (e nuovi) possono divenire  alleanza internazionale nel manifestare la propria vita ed identità in una rete mondiale di “bioregioni” e di piccole e medie città, unite da criteri di sostenibilità e di scambi commerciali, sottoposti a nuovi e sempre più urgenti criteri di valutazione dell’ impatto merceologico e trasportistico.

-  Se il contributo definitorio fornito dall’UNESCO nell’individuazione dei cosiddetti “paesaggi viventi” è un passaggio importante nella successiva predisposizione od innesco di politiche economiche e di supporto conseguenti, il passaggio successivo è quello di riconoscere alle componenti genetiche presenti, alle forme di organizzazioni sociali e comunitarie delle popolazioni, alle pratiche colturali e di allevamento sinora praticate un ruolo ed una identità nella formazione di agroecosistemi che si manifestano percettivamente, semiologicamente ed etnograficamente nella formazione dei cosiddetti “paesaggi bioculturali”; questo riconoscimento sinora è ,mancato.

             Come per l’agricoltura biologica, di cui fui in anni molto lontani uno dei primi sostenitori in Italia e  malgrado l’atteggiamento di alcune facoltà di Agraria, malgrado alcuni urbanisti e pianificatori, malgrado alcuni grandi gruppi della mega-meccanizzazione agricola, malgrado i fautori degli OGM che purtroppo impongono con violenza e senza rispetto dei tempi biologici, un inquinamento ecosistemico irreversibile, volutamente dimentichi della ricchezza genetica già esistente al mondo e frutto di selezioni millenarie, dicevo, malgrado tutto ciò siamo convinti che con l’aiuto di tutti quelli che sono interessati a darci una mano ed a mettersi in contatto con noi sull’apposito Forum di discussione e di progetto (ved. prima pagina intervento), cercheremo nei prossimi mesi, sostanzialmente, di A) costruire criteri e metodologie per individuare in Italia ed in altri paesi questi ambiti di “paesaggi bioculturali”, B) individuare concretamente gli ambiti dei “paesaggi bioculturali” in Italia e nei diversi paesi, al di là  delle auspicabili potenzialità gastronomiche o della auspicabile presenza di produzioni rare o di nicchia, C) presa di contatto diretta e senza intermediazioni con contadini e comnunità che gestiscono questi territori, D) erogazione di contributi, a fondo perduto, per la gestione equilibrata ed ecosostenibile, con tecnologie adeguate, a singoli imprenditori e comunità, anche in relazione alla tutela dell’architettura rurale di comunità ed alla realizzazione di nuove strutture di servizio compatibili od integrate nel contesto.

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